Il 2022 in Rap – L’analisi di 5 pezzi di cui si è parlato troppo poco

Al termine del 2021 si è parlato molto di rap, di trap e di hip-hop e l’impressione, a un certo punto, era sempre la stessa: sembrava di ascoltare un brusio di sottofondo, diventato rapidamente credenza popolare, che dava il genere per morto o quantomeno morente. Il 2022, fin qui, ha smentito a gran voce quel chiacchiericcio sbagliato, proponendo una sfilza di cinque album dal valore artistico altissimo, aprendo un vero e proprio filotto “da golden age”: Virus di Noyz Narcos, Oro Blu di Bresh, Salvatore di Paky, Caos di Fabri Fibra e Sirio di Lazza.

Questi cinque progetti kolossal non hanno issato, da soli, la bandiera del rap italiano: in realtà il 2022 è stato un anno davvero ricco di progetti sperimentali e convincenti, magari non in grado di eguagliare quei “fantastici cinque”, ma comunque di stupire e avere un impatto molto positivo sulla scena. Per esempio, X2, Il giorno in cui ho smesso di pensare e Dove volano le aquile sono ottimi dischi e progetti come Succo di Zenzero 2, Osiride e No money more love dimostrano che anche i CD “non strettamente di Serie A” possono essere realizzati con grande attenzione e qualità.

In questo quadrimestre, comunque, la critica – noi compresi – ha analizzato e giustamente esaltato i cinque progetti citati, recensendoli, intervistando i loro autori e soffermandosi su tracce “da copertina” come Dope Boy in Virus, l’intro di Salvatore, la title track di Caos o ancora Molotov in Sirio. In questo articolo, l’intenzione è un’altra: analizzare delle tracce sottovalutate o, comunque, di cui si è parlato troppo poco. Non sono state scelte necessariamente le canzoni più qualitative o quelle più conscious o ancora quelle dal valore artistico più nascosto: in questo articolo si parlerà di cinque tracce belle e basta, per rimarcare il loro spessore e impreziosire le playlist del rap italiano.

Se cercate su Spotify “Rap Italiano 2022” troverete decine di playlist che contengono Solite Pare, Piove, Star, Shekerando, Angelina Jolie e Cry Later, ma nessuna che propone le cinque canzoni analizzate in quest’articolo. Magari potete trarre qualche suggerimento per le vostre compilation!

NO RATZ – Noyz Narcos feat. Guè & Capo Plaza

Virus si è rivelato un disco straordinario, superiore di almeno due categorie rispetto ad Enemy in termini di dinamismo, di esplosività e di smalto tecnico. Proprio come nel caso di GVESVS di Guè, la sua chiave di lettura è da ricercare nel punto di intersezione fra passato, presente e futuro, perché Virus è il disco di una leggenda, quindi di un artista maturo ed esperto, che con un occhio guarda al passato e alla tradizione e con l’altro al futuro e all’innovazione (in un certo senso, featuring come Raekwon e Sfera Ebbasta spiegano in modo molto questa visione elastica e da artista vero).

Noyz Narcos, dopo il buon disco Enemy, non sembrava avere il “fuoco dentro” per poter realizzare un disco-molotov come Virus e invece ha stupito la scena con scelte artistiche ambiziose, coerenti e incredibilmente efficaci, come testimonia il disco di platino ottenuto in meno di tre mesi (il secondo in una discografia quasi ventennale).

Ciò che ha davvero stupito, tuttavia, è la stata sua già citata capacità di canalizzare in un unico progetto le caratteristiche di un disco “alla vecchia maniera” e quelle di un disco moderno. Virus è assolutamente coerente con i pilastri della carriera di Noyz Narcos in termini di scrittura, sound e concept, ma allo stesso modo è fresco, strizza l’occhio liricamente e musicalmente al mondo trap e dimostra un’evoluzione artistica mai scontata per un rapper di quarantadue anni con lo status di leggenda.

Se Noyz non fosse stato affamato e coraggioso, in Virus avrebbe scelto di rimanere nella sua comfort zone e non sarebbe sceso in campo su beat trap (comunque coerenti con il suo immaginario sonoro) con la sciabola da pirata fra i denti, falciando le metriche, fendendo flow e infilzando le strumentali. Soprattutto, non avrebbe scelto di confrontarsi con ragazzi musicalmente prodigiosi come Franco126, Geolier, Ketama126 e Capo Plaza e soprattutto non avrebbe mai accettato un banger triplo come No Ratz, in cui oltre a Plaza si sarebbe dovuto confrontare con un’altra leggenda: Guè.

No Ratz è un banger stellare ed è meravigliosamente vero che brani del genere sposano in maniera perfetta gli stili di rapper di generazioni completamente diverse da loro. Più nello specifico, alla loro terza collaborazione e dopo le gigantesche Casa Mia e Street Advisor è davvero evidente che Noyz Narcos, Capo Plaza e Night Skinny si intendano alla perfezione:

  • Da un lato, infatti, Plaza nutre evidentemente un’ammirazione sconfinata e quasi sacra per la musica di Noyz Narcos. Ogni volta che si trova a collaborare con il romano, infatti, sembra impegnarsi per impreziosire le tracce e non sfigurare, dando vita a performance sempre straordinarie, fra le sue migliori in assoluto.
  • Dall’altro lato, Noyz e Skinny sono sempre eccezionali nel valorizzare Capo Plaza, creando l’atmosfera giusta per il suo vigore e il suo flow-dinamite. Inoltre, va ricordato che No Ratz arriva in un periodo non facile per il giovane salernitano, cioè dopo un disco fallimentare come Plaza e dopo le dolorose stoccate di Luchè (presente, fra l’altro in Virus). Dare la possibilità a Plaza di ricordare a tutti il suo valore, per Noyz, è stato come credere ciecamente in lui, dargli fiducia di cui aveva bisogna e quasi proteggerlo dalle difficoltà. Era ovvio, perciò, che sulla traccia avrebbe dato il 200%.

La formula dei pezzi di Noyz con Plaza è sempre la stessa: la loro doppietta letale diventa tripletta grazie all’apporto di un altro colosso del rap italiano. Pensando a Casa Mia, è immediata l’associazione con la miglior strofa in featuring della carriera di Luchè e Street Advisor, invece, brillava anche per la grande prestazione di un Marracash pre-pubblicazione di Persona. In No Ratz è Guè a chiudere il tridente d’attacco e non poteva esserci ospite più adatto al pezzo: insieme a Noyz e Plaza forma una tripletta amalgamata e al contempo diversa, impreziosendo il pezzo con la sua tecnica da fuoriclasse e con delle punchlines letali.

Vale la pena soffermarsi sui gesti tecnici; uno per artista:

  1. La strofa di Noyz Narcos è dinamite allo stato puro sin dall’attacco con cui impatta il primo kick, quindi scegliere una sua quartina è davvero complicato. Tuttavia, c’è un cambio di flow che dimostra lo strapotere del rapper sulla strumentale di Skinny: al secondo 0:26. Dopo una prima parte di strofa incalzante, Noyz rallenta di colpo proponendo un flow a metriche larghissime con pause di addirittura due secondi, che viene bruscamente interrotto a metà quartina in favore di un cambio di metrica e di una rima davvero epica: “E questi infami brindando alla tua / Finisce che me blinderanno pe’ li cazzi tua”. È una rima incazzata e profondamente romana: è Noyz Narcos.
  2. Il ritornello di Plaza è monumentale: parte sul beat come una locomotiva e sembra davvero irrefrenabile, accompagnato da un’autotune perfetto per esaltare la sua voce e da un effetto eco che rende il brano più epico. C’è poco da dire sullo stile di Capo Plaza: nei suoi progetti solisti deve certamente crescere e migliorare ma è, per freschezza sonora e flow, uno dei rapper più forti d’Italia. Era perfetto per il ritornello di No Ratz ed è stato giusto anche dargli lo spazio di rappare una strofa finale.
  3. Guè, in No Ratz, è stato semplicemente stratosferico. L’avverbio “semplicemente” non è casuale, perché Guè riesce a far sembrare semplice qualsiasi sua performance, quando il suo livello tecnico è praticamente inarrivabile e la sua attitudine è confermata pezzo dopo pezzo da rime fenomenali come: “OG, dentro queste pussy come un o.b / Le cavalco come fa un Jedi, Wan Kenobi“. Al contempo, il cambio di flow è fantastico, dopo una seconda strofa con larghe pause il rapper entra a gamba tesa, iniziando a smitragliare rime in rapida successione. Anche stavolta: oscar al miglior flow italiano.

Vale la pena concludere spiegando il ruolo del brano in Virus: chiude una prima parte di disco che travolge l’ascoltatore come un tornado, proponendo banger come Volante 4, Welcome Back e Foot Locker, ma anche Uomo a terra e Virus. No Ratz è lo spartiacque: subito dopo in poi arriva la parte più conscious del disco, con Blister, Dope Boy e War Games. È l’ultimo fulmine di una tempesta di banger e, probabilmente, è anche quello il cui tuono fa più rumore.

Svuotatasche – Bresh

Bresh è senza dubbio una rivelazione di questo 2022. Per comprendere la sua crescita, tuttavia, bisogna partire dal suo ultimo disco Che io mi aiuti, un brillante disco d’esordio che, a livello di posizionamento nella scena, è stato vittima di un equivoco per certi versi unico. Da un lato, infatti, Bresh sembrava sottovalutato dalla gran parte di pubblico e critica, perché al momento della sua uscita in pochi avevano elogiato un esordio così convincente, ma, dall’altro lato, vi era una nicchia che dipingeva Che io mi aiuti come il più grande dei capolavori, paragonandolo a CD nettamente più completi e qualitativi come Mr. Fini, 17 o Gemelli, usciti nello stesso anno. La mancanza di equilibrio nelle opinioni è stato il grande equivoco del posizionamento di Bresh, che qualche anno fa era un ottimo prospetto: né un artista destinato a una carriera di Serie B né un grande artista. Oggi, dopo la pubblicazione di Oro Blu, è invece impossibile non considerarlo un grande artista.

La crescita straordinaria di Bresh passa attraverso la meravigliosa e pazza hit Angelina Jolie, un brano scritto divinamente, cantato con un flow sensazionale su una strumentale straordinaria e, soprattutto, benedetto da un destino particolarmente sorridente. Per un motivo o per l’altro, infatti, Angelina Jolie ha regalato più attenzione (e ascolti) al genovese della totalità di Che io mi aiuti + repack e ha spinato la strada all’arrivo di Oro Blu, ma stavolta si può dire: il secondo disco di Bresh è un capolavoro.

Oro Blu è un disco di cantautorap, cioè quel tipo di rap che va ascoltato tre volte: la prima per assaporare la musica, la seconda per comprenderla e la terza per ascoltare e leggere le parole. Bresh è artista e scrittore vero, ispirato musicalmente e pienamente in controllo della sua penna, tant’è che i brani meglio scritti del disco, come Come Stai, Angelina Jolie, Se Rinasco e Svuotatasche, sono tutti diversi per approccio, concept, idea e sviluppo della stessa idea.

Svuotatasche, per esempio, è un brano che solo Bresh avrebbe potuto scrivere e interpretare (qui si può parlare anche musicalmente di cantautorap), proprio per l’idea meravigliosa, da artista vero, su cui si basa il suo testo. L’artista, nella prima strofa, disegna questo oggetto, lo “svuotatasche“, gli dà una forma nella testa dell’ascoltatore e spiega perché gli “farebbe comodo”:

Ci infilo le cose che porto da fuori casa
Ma che, appena entro in casa, un posto giusto non lo trovano

Nella seconda strofa, invece, lo riempie di oggetti e di concetti – e qui si arriva alla maturità nello sviluppo fantastico di un’idea originale -, inserendo al suo interno le sue prime sigarette; una foto con la madre; una pedivella; la sua ragazza più bella; il motorino; la pagella; le sostanze; l’abbonamento e molto altro ancora, intervallando l’elenco con commenti fantasiosi e autobiografici. È chiaro a tutti cosa sta facendo Bresh in questo modo? Sta raccontando la sua vita attraverso un’idea incredibilmente poetica e romantica perché ogni essere umano ha il suo personale svuotatasche:

E scusa, sì, siam diversi, ma alla fine il succo è uguale
Nel tuo svuotatasche metti il tuo nome o l’iniziale

Qualche tempo fa, nella sua rubrica “Questa te la sei persa!”, Riccardo Zianna ha parlato in questi termini di Oro Blu e di Svuotatasche:

“Oro blu” è un album che oscilla perfettamente tra brani che ti portano via e brani che ti faranno immergere in te stesso. Di quest’ultima categoria è sicuramente “Svuotatasche”: una poesia da dedicare al proprio io un po’ smarrito.

È molto romantico pensare a Svuotatasche in questi termini, perché lo svuotatasche non solo dà un’identità alla persona, ma è esso stesso identità della persona: può essere considerato la sua anima. Lo svuotatasche è la mappa per “l’io smarrito”: può aiutarlo a ritrovarsi.

La terza strofa poi? Due quartine: nella prima continua a riempire il contenitore in modo sempre più astratto e concettuale:

Metterò il Mediterraneo e i sassi di una scogliera
Dai vicoli la notte, gli amici miei la sera
L’Italia che resiste, che non la puoi toccare
Le volte che ho sbagliato, le chicche che ho imparato

e nella seconda conclude con una chiusura semplicemente da fuoriclasse e da capolavoro:

E se poi si riempie troppo, tengo qualcosa in tasca
Che se cadesse mai, lo raccoglie chi passa
Oppure può restituirlo al grande svuotatasche
Che puoi trovare in centro o puoi trovare in piazza

Interpretando, perché l’unico modo di fare proprie poesie del genere è provare a dargli la propria personale spiegazione, è come se gli ultimi due versi parlassero di coscienza collettiva. Tutti gli svuotatasche della città formano un “grande svuotatasche“, che accomuna tutti i cittadini ed è il bagaglio di tutti, in grado di contenere gli oggetti, i concetti, i ricordi e le esperienze. Magari è questa la chiave di lettura che Bresh voleva dare alla chiusura del brano o magari no, la sua interpretazione è più complessa o più semplice o semplicemente diversa: è proprio qui la bellezza di poesie del genere.

In conclusione, dunque, è chiaro a tutti che Bresh oggi è Artista con la A maiuscola e che il suo Oro Blu è Album con la A maiuscola: è così anche e soprattutto per canzoni uniche, ispirate e follemente geniali come Svuotatasche, una poesia da dedicare al proprio io un po’ smarrito.

Quando Piove – Paky

Paky è la vera sorpresa del 2022: il suo disco d’esordio Salvatore ha superato qualsiasi aspettativa si potesse nutrire nei suoi confronti e ha messo tutti d’accordo, entusiasmando i fan del rapper e facendo cambiare idea ai suoi detrattori. Come ho scritto nella recensione del progetto, si tratta di un disco estremamente intelligente, pianificato nella sua struttura con lucicidtà e addirittura genialità. Infatti, la tracklist di Salvatore viene aperta da un’intro autobiografica, cruda e profonda, perfetta per preparare l’ascoltatore al “viaggio-Paky” e, successivamente viene tagliata in due dalla title track, una skit in cui l’autore, visibilmente emozionato, si lancia in uno struggente monologo in cui si racconta e soprattutto racconta il suo disco.

Nel monologo, Paky spiega che Salvatore è il nome di un suo zio deceduto in seguito a un incidente stradale, distratto proprio da una sua telefonata. Quel giorno sua madre ha perso un fratello, i suoi nonni hanno perso un figlio, suo cugino un padre e suo zia un marito. Un anno dopo la sua morte è arrivato il singolo Rozzi e l’artista, nella skit, quasi si commuove a confessare:

Credo che tutto quel successo, quella catena di avvenimenti e di coincidenze siano capitate per merito suo, mi sento come toccato dall’alto, come se fossi stato salvato, proprio come il significato del suo nome: Salvatore.

La parte finale della skit, invece, ha un ruolo cruciale nell’economia del disco e rappresenta una soluzione creativa estremamente innovativa ed efficace: spiega la struttura del disco all’ascoltatore.

Ho voluto chiamare il mio primo disco come lui perché mi sentivo di doverglielo, in questo progetto c’è tutto il dolore che ho provato e la rabbia che ancora provo. Salvatore è lo specchio della mia anima, ho deciso di dividere il disco in due parti con questa traccia, la prima parte contiene i pezzi più leggeri e banger, la seconda, invece, quelli più sentiti e conscious. Una dove c’è luce, l’altra dove c’è solo buio, una in cui sono vivo e l’altra in cui non lo sono. 

Quando Piove sarebbe dovuto essere il “brano-bandiera” della parte conscious di Salvatore e lo testimoniano due scelte: l’inserimento della traccia come apertura della seconda metà di tracklist e la proposta della stessa, insieme a No Wallet (che appartiene tuttavia alla parte banger), per la playlist “New Music Friday Italia”. Tuttavia, i numeri hanno premiato altre tracce, rispetto a Quando Piove: Comandamento e Vita Sbagliata, per esempio, contano più del doppio dei suoi streaming e, più in generale, è la seconda canzone meno ascoltata del CD, preceduta in questa sfortunata classifica solo dall’Intro.

È ironico perché, testi alla mano, l’intro di Salvatore e Quando Piove risultano in modo molto evidente le tracce scritte meglio dell’intero progetto, ma non bisogna trarre conclusioni sbagliate. Nella musica, infatti, i numeri sono spesso un pessimo indicatore e Quando Piove, che abbia due milioni e mezzo o venti milioni o ancora venticinquemila streaming, resta comunque un capolavoro: una lettera autobiografica scritta con il sangue e cantata con la voce graffiante di uno sfogo disperato.

L’identità musicale di Paky, infatti, è sempre stata “di polvere e fango”: è un rapper che sputa versi sul beat, non li rappa. Anche in Quando Piove è così e ce ne si accorge fin dal principio:

Ah, ne avevo dieci quando ho cambiato città
A quindici anni ho perso la verginità

Avevo paura quando ma’ piangeva
Papà la picchiava forte a mani nella camera

un attacco alla canzone diretto, dall’impatto estremo sull’ascoltatore e brutale. A livello tecnico, negli ultimi mesi, Paky è migliorato molto, ma non è in un brano del genere che vanno cercati i suoi progressi sul beat. Quando Piove è da ascoltare al buio, quando magari fuori piove davvero, immaginandosi ogni scena raccontata, dalle violenze domestiche del padre del rapper sulla madre, che lasciavano un povero bambino traumatizzato e terrorizzato, fino alla morte dello zio Salvatore:

A diciott’anni avevo iniziato col rap (Col rap)
Lo stesso giorno che a mio zio l’hanno ammazzato (L’hanno ammazzato)

Qua si spara i fuochi e non è capodanno

e all’arresto del fratello, che rendeva Paky ancora più solo:

Mio fratello che è uscito da carcerato
Quando l’hanno arrestato, non riuscii ad abbracciarlo (Ah)
Arrivai sotto casa e già se l’erano portato

Gli sono entrati in casa e non poteva fare altro
Sapeva cosa cercavano e dopo l’hanno trovato

Il motivo per cui Quando Piove è così speciale, in conclusione, è proprio da ricercare in questi versi: si tratta di un brano coraggiosissimo, in cui Paky si mette a nudo, raccontando storie di vita vissuta che molti non racconterebbero neanche alla propria ragazza o al loro migliore amico. Quando Piove è un beat che fa da psicologo a un rapper e, probabilmente, tracce del genere sono quanto di più hip-hop si potrà mai ascoltare in assoluto.

Noia – Fabri Fibra feat. Marracash

Caos è stato il decimo disco in studio di Fabri Fibra. L’imponenza di quest’affermazione parla da sola e, per certi versi, spaventa: nessun altro rapper è riuscito a confermare il suo status di leggenda album dopo album, per una carriera ultra-ventennale. Nessun rapper dall’importanza e dal peso specifico di Fabri Fibra, in Italia, ha pubblicato dieci dischi da solista: né Guè né Marra né Noyz Narcos né tantomeno J-Ax.

La curiosità, dunque, per un disco arrivato a cinque anni dall’ultimo Fenomeno era alle stelle e per rispondere alla domanda “Com’è Caos?”, probabilmente, il modo migliore è citare il titolo. Caos è infatti un disco straordinariamente confusionario, privo di un reale filo logico, che mette in un unico calderone (un po’ sulla lunghezza d’onda dello “schema Playlist“) tutte le anime della produzione artistica ventennale di Fabri Fibra: dalla violenza di Brutto figlio di, El Diablo e di Demo nello stereo, un po’ alla Mr. Simpatia/Bugiardo, fino alle ambigue ed enigmatiche Fumo Erba e Amici O Nemici, alla Squallor, e ai brani pop-rap come Stelle, Caos e Propaganda, che ricordano tanto i successi di Fenomeno.

Noia, quartultima traccia del disco – sarebbe potuta essere un’ottima outro – è invece un pezzo assolutamente unico, pienamente coerente con un album dal titolo caotico, intricato e confuso, in grado di spiegare i cinque anni di inattività di Fabri Fibra e uno sviluppo così disordinato del suo decimo CD. Ascoltando i testi di Fumo Erba, Amici O Nemici e Liberi, si intravede infatti un certo malessere percepito dall’artista, ma è con Noia che questo malessere trova una forma precisa e concreta, venendo affrontato a duello dall’artista. Si tratta della noia, la noia che blocca la vita e interrompe i sogni di gloria dell’artista più leggendario del rap italiano, togliendogli il piacere della routine, gli stimoli della sua professione e qualsiasi impulso ad agire.

Fibra ha parlato del pezzo ai microfoni di TRX Radio e le sue dichiarazioni rappresentano senza dubbio il modo migliore per raccontare il pezzo-chiave dell’intero Caos:

Secondo me è “rap progressive”: è talmente strano, dura più di quattro minuti, non ha ritornelli, il beat cambia, Marracash entra che non te lo aspetti, Miles Davis, poi c’è la skit di Bukowski. Per me è molto difficile scrivere se penso che là fuori c’è il pubblico che aspetta e magari da me si aspetta anche una determinata cosa, perché la fregatura è quella. […] Quando ho scritto “Noia”, ero proprio privo di qualunque ansia, ho detto: “Fai una cosa veramente onesta”. Dico effettivamente cos’è la pesantezza della routine quando inizia a ingranare con con gli impegni del rap, le serate. A un certo punto la mia vita era solo: trovare i vestiti per suonare, prendere la macchina, suonare, andare in hotel, fare la doccia, cambiare i vestiti per suonare, andare a suonare, prendere la macchina… Così all’infinito, lo faccio quasi in automatico e tutto diventa noioso. E poi invece sono riuscito a rompere la noia, ad esempio, facendo un pezzo che parla della noia e lì mi sono gasato perché ho detto: “Sta venendo qualcosa di veramente diverso”. Logicamente chi ascolta il rap che da un momento all’altro sembra che deve cadere il soffitto, che deve entrare gente armata, non lo trova qua: qui trova più un viaggio personale, ed è figo perché lo trovo veramente elegante, dall’inizio alla fine.

Noia, oltre che musicalmente molto elegante, è soprattutto un pezzo ansiogeno, angosciante da ascoltare e opprimente da leggere: Fibra è un fenomeno nel raccontare e caratterizzare in modo così chiaro – e così spaventoso – un sentimento che si annida nel profondo di ogni essere umano. La prima strofa è emblematicamente pratica: l’artista si racconta come lento, rallentato, fiaccato dal demone della noia che non lo lascia in pace, facendogli passare la voglia di vestirsi bene, di fare attività sportiva, di combattere i suoi problemi e persino di rappare e fare musica:

Non mi lamento e neanche vado a votare (No)
Ho mille scarpe celesti, blu, viola
Dovrei provarle, ma non c’ho mai voglia (Ah)
Il tempo passa, ma poi non ritorna
Dovrei fare sport e tenermi un po’ in forma (E sì, eh)
Dovrei andare in studio a scrivere una bomba (Boom)
Dovrеi combattere l’insonnia (Seh)
Ma non c’ho voglia

La mancanza di “voglia di fare” da parte di Fabri Fibra è drammaticamente inquietante per l’ascoltatore, perché gli lascia intuire la ragione di un digiuno artistico di cinque anni e soprattutto perché il rapper non fa nulla per nascondere l’insensatezza di una vita stagnante e incolore con il verso: “Il tempo passa, ma poi non ritorna”. Fibra vorrebbe liberarsi da questo demone, si è accorto di quanto la sua vita ne stia risentendo, ma non può: è troppo stanco.

La seconda strofa di Noia, seprata dalla prima da un frammento d’intervista di Bukowski, inizia seguendo la scia della prima:

Dovrei concentrarmi sugli affari, ma non c’ho voglia
Potrei dirti chi è davvero Fabri, ma non c’ho voglia
Esci e dimostra a tutti quanto vali, ma non c’ho voglia
No, non c’ho voglia

ma poi sussulta all’improvviso, spiegando al pubblico le ragioni da cui nasce la noia. Il motivo per cui un demone del genere appare così forte e velenoso, per Fibra, è da ricercare nella piattezza delle interviste, nell’ipocrisia dell’industria e dei media, nel dilagante fenomeno del politicamente corretto, nella superficialità del pubblico e nella piattezza di una routine fredda e – ovviamente – noiosa. E poi? E poi entra Marracash con una strofa sublime, libera e infafferrabile, angosciantissima, iper-tecnica e piena di rime-concept a effetto, come le seguenti:

Fotto con la depressione, ne conosco i nei
Sono andato anche in Giappone per fuggir da lei
Pensavo proprio al posto più remoto, ehi
Pensavo tipo Kyoto schiaccia chiodo
Ma non puoi uscire dalla tua pelle
Né dalla depre quando ti prende

Il mio strizza dice che ora faccio
Autosabotaggio perché sotto sotto sotto
Dentro dentro rimpiango lo straccione che ero
Con meno, il vecchio me stesso

E pensare, bro, che lo pago per questo

In conclusione, dunque, la combo Fibra+Marra, che non si ascoltava dal remix di Non Confondermi (2018), ha regalato una delle canzoni più struggenti, poetiche e profonde del 2022, oltre che un piccolo capolavoro che aumenta a dismisura il valore di Caos, in attesa, magari, di un joint album dei due titani del rap italiano.

NESSUNO – Lazza feat. Geolier

Fra i cinque dischi presi in analisi in questo, Sirio è l’ultimo a essere uscito: ha chiuso il quadrimestre con la sua freschezza e i suoi contenuti e ha confermato la crescita straordinaria di Lazza, una stella destinata a diventare costellazione. Se Re Mida, secondo album del rapper milanese, era un disco muscolare, travolgente e prettamente trap, finalizzato a un’imposizione nella Serie A del rap italiano, Sirio è invece il tentativo di cambiare in favore di una scrittura maggiormente conscious, di restare nel tempo attraverso la musica, di squarciare un velo e raccontare Jacopo, non più solo Zzala.

Nella sua ricerca di contenuti e introspezione, Lazza ha cambiato molto: ha proposto, sì, alcuni banger violenti, zarri e pieni di punchlines come Piove, Bugia, Puto e Jefe, ma ha soprattutto cercato di ricamare delle canzoni. La differenza maggiore fra Re Mida e Sirio è probabilmente questa: il primo era composto prevalentemente da banger e solo in parte residuale da canzoni “per restare nel tempo”, mentre il secondo è basato su queste ultime e lascia all’esplosività del banger un’importanza leggermente minore e un ruolo di secondo piano.

Per trovare l’ispirazione e raccontarsi, come si accennava, Lazza ha cercato da un lato “vecchie soluzioni”, come il “piano solo rap” di Ouv3rture, l’intramontabile boom-bap di Topboy e la conscious trap di Replay e Alibi, e dall’altro ne ha trovate di nuove, come il ritmo latino di Cinema, il pop-rap di Panico, l’house-rap di Senza Rumore e lo stile anni ’80 alla Blinding Lights di Molotov.

Sirio, tuttavia, è un disco polarizzante (banger vs canzone) fino alla sua ultima parte, che appare più fluida, più ibrida e più difficile da catalogare. Il brano che apre quest’ultima, sottovalutata, sezione di album, è un ibrido meraviglioso, Nessuno, a metà fra un pezzo zarro e uno romantico e struggente, dal kick grasso e invadente ma caratterizzato, a livello strumentale, da un coro soave e angelico. È una traccia che, per stile di scrittura, ricorda vagamente Milion Dollar nella repack Aurum di Re Mida: un brano rappato con stile e scritto in modo muscolare, ma che al contempo lascia intravedere delle crepe nell’anima. È la tecnica al servizio della poesia e la zarritudine al servizio dell’eleganza, come dimostra il verso seguente:

Poi dal nulla, baby, mi hai chiesto la luna e
Io ti ho regalato un completo di Marine Serre

con cui Lazza agisce su due fronti: propone una punchline efficacissima e geniale, ma soprattutto riesce a far sì che questa non sia fine a se stessa, ma utile a raccontare una storia d’amore terminata in modo rovinoso.

Sono molte altre, in realtà, le ragioni per cui Nessuno è un brano entusiasmante: dal vortice di rime che caratterizza la prima parte di strofa allo straordinario salto in alto di tonalità che colpisce l’ascoltatore come una scossa elettrica, fino alla grandiosa strofa di Geolier (in tre dei cinque progetti citati nell’articolo il napoletano si è dimostrato featuring irresistibile). Probabilmente, tuttavia, la vera perla del pezzo è il ritornello fantastico di Lazza, da Top 3 di Sirio, che propone qualcosa di mai sentito per l’Italia: uno schema metrico a tagliare i quattro quarti in modo complesso e controintuitivo, dal risultato incredibilmente d’impatto:

Non lo dire a nessuno
Che se fosse per te, pur di uccidere me, pagheresti qualcuno
Spendo soldi nei brand, ho uno zaino di cash, sembra che non fatturo
Però tu non sai che, quando spengono il set, rimane solo il fumo
E ho paura del buio

Soltanto un musicista vero come Lazza poteva pensare di prendere i quattro quarti e stravolgerli, incastrandogli un verso breve chiuso in A, tre versi lunghi dallo schema B-B-A e un ultimo verso breve chiuso in A. Non l’aveva mai fatto nessuno e oggi l’ha fatto Lazza. Il risultato è un ritornello da hitmaker, dalla top-line, fra l’altro, innovativa e difficile da scrivere e persino da intuire, ma in grado di incastonarsi perfettamente nella memoria dell’ascoltatore.

Più che una stella, il disco Sirio somiglia più a una costellazione a diciassette astri, incastrati fra loro secondo una logica precisa, e magari Nessuno non sarà quello più brillante (numeri alla mano oggi si contano otto brani del CD con più streaming su Spotify) ma, per la sua natura di brano ibrido, innovativo e qualitativamente strepitoso, non lo si può che guardare con il cannocchiale delle grandi occasioni.

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