Lazza è senza ombra di dubbio uno dei rapper più completi della scena italiana: è un artista a 360 gradi, rappa, produce, suona il pianoforte e improvvisa rime in freestyle, ma soprattutto è dotato di enormi doti tecniche tanto nell’aspetto melodico e di flow quanto nella scrittura dei testi. Nella sua carriera, inoltre, ha saputo dar vita a street-hit esplosive e zarre come Morto Mai, Gigolò, Ho paura di uscire 2, Iside e Alyx, e allo stesso tempo ha dimostrato la sensibilità dell’artista vero con perle come Catrame, 24H, Porto Cervo, le due Ouverture e Silenzio.
La completezza di Lazza, però, è anche – e forse soprattutto – musicale: al contrario di molti suoi colleghi, ancorati a un singolo genere musicale, il rapper riesce infatti a destreggiarsi con brillantezza su qualsiasi tipo di beat, come ha dimostrato coni le sue performance in brani trap, club-banger, UK Drill (si pensi alle recenti Studiomob, Ke lo ke e Mezzo Sport), house-rap (Ho paura di uscire 2 e Charles Manson) e addirittura Piano Solo.
Tuttavia, quando la strada di Lazza si incontra con quella del boom-bap, con i suoi battiti regolari e ipnotici, i fuochi d’artificio sono sempre assicurati. Come accade a tutti i cultori della musica rap, Zzala subisce il fascino del suono degli anni ’90 in modo viscerale e nello specifico subisce quello della sua atmosfera nostalgica, che richiama epoche perdute in cui l’hip-hop non era soltanto musica da cuffiette, ma vera e propria vita quotidiana.
In un’ospitata al podcast TRX Zeitgeist con Carlo Pastore e Guè Pequeno, in particolare, Lazza ci ha tenuto a ribadire in modo molto deciso la sua passione per il boom-bap, affermando che:
Il pezzo un po’ classic lo cerco sempre in un mio disco, perché mi fa sentire un po’ a casa. Io vengo dal freestyle, una roba che mi è appartenuta, e non lo facevo di certo sui beat trap.
La parola giusta è nostalgia: dalle dichiarazioni del rapper risulta chiaro che le strumentali dalle sfumature più classiche lo riportano a un periodo effettivamente vissuto, fatto di freestyle, di genuinità e soprattutto di sincero amore per l’hip hop. Quando rappa su un beat boom-bap, Lazza si sente a casa perché rivive ogni istante di quel periodo così importante per la sua vita, per la sua crescita personale e per la sua carriera.
Infatti, ripercorrendo a ritroso la sua discografia, oggi che è una colonna portante del rap italiano, è evidente quanto Lazza abbia costruito una parte significativa della sua carriera sul suo rapporto con il suono dei ’90. Basti pensare a MOB, la sua prima vera grande hit, con Salmo e Nitro: era effettivamente un pezzo boom-bap! Quanti classe ’93 avrebbero saputo interpretare con quell’attitudine e quel carisma un brano del genere? Nessuno. Inoltre, anche in Re Mida, il disco della sua consacrazione, la title track, ovvero la traccia che per definizione è la bandiera del disco, è proprio un pezzo di stampo classico!
Di pezzi che dimostrano la forza e la solidità di questo legame, poi, ce ne sono altri e altri ancora: dalla collaborazione Se Bastasse con il veterano DJ Fede, addirittura del 2014, alla posse track Rapper in cui Zzala brillava fra artisti storici come Danno, Ensi, Jack the Smoker e Clementino, fino ancora a un freestyle da brividi sul beat di Infinity (888). La sfida di quest’articolo, in particolare, è quella di scoprire i segreti della chimica fra Lazza e il boom-bap e magari di riuscire a sbirciare, attraverso le sue rime, qualche fotografia di quel periodo fatto di freestyle, muretto e amore per l’hip-hop. Per farlo, si è scelto di partire da tre tracce recenti a cui il rapper ha preso parte: Puro Sinaloa, Alex e Morto di fame, tutte e tre di stampo rigorosamente classic.
Puro Sinaloa
Per inquadrare la prima canzone in analisi, Puro Sinaloa, vale la pena iniziare con una rapida introduzione storica. Ci troviamo nel 2020, un anno drammatico l’industria musicale, caratterizzato dall’insorgere della pandemia di Covid-19 e il conseguente primo lockdown, dalla durata – che fatica pensarci oggi! – di due mesi. Di fronte all’impossibilità di esibirsi dal vivo, organizzare instore e più in generale organizzare attività “di vita reale” relative alla loro musica, gli artisti italiani reagiscono posticipando le loro uscite a data da destinarsi, a eccezione di ragazzi coraggiosi come Nitro, Mostro e Dani Faiv, le cui scelte, comunque, non pagano a livello numerico.
Ernia decide di aspettare: in quel momento è considerato da molti il rapper più completo d’Italia, fra quelli delle nuove generazioni, e sta aspettando la sua consacrazione anche nel mainstream. Ha il disco giusto per farlo, si intitola Gemelli ed è compatto, solido e polivalente, una carta troppo preziosa da giocare durante il lockdown. Esce a giugno, in un’estate che profuma di (illusoria) speranza, ed si rivela essere un successo clamoroso, trainato da hit mainstream come Superclassico e Ferma a guardare, da poesie come Maryxsempre e Vivo e da esercizi di stile come U2, Morto Dentro e, appunto, Puro Sinaloa.
La giga-hit del CD sarà Superclassico, che porterà a Ernia cinque (finora) gustosissimi dischi di platino, ma in quel momento né l’artista né tantomeno il suo team sono in grado di prevedere un successo così impressionante. Allora, la scelta più logica: promuovere contemporaneamente Superclassico, una canzone d’amore pop, e Puro Sinaloa, un brano rigorosamente rap.
Puro Sinaloa è un brano talmente classic da essere un remake di Puro Bogotà, l’instant classic dei Club Dogo con Marracash e Vincenzo da Via Anfossi. Ernia, infatti, è da un lato un artista vero, che non prende mai decisioni banali, e dall’altro è un grandissimo fan dei Dogo: sceglie di fare una sua versione del brano del 2007, un po’ per omaggiare il brano originale e un po’ per dimostrare che, in fondo, anche i rapper della nuova scuola possono regalare magia su quella strumentale leggendaria di Don Joe.
In Puro Bogotà rappavano Guè Pequeno, Vincenzo da Via Anfossi, Jake La Furia e Marracash: a Ernia, dunque, serve una formazione che includa altri tre rapper carismatici, di talento e, soprattutto, che abbiano la cultura e l’intelligenza per capire l’importanza del pezzo a cui stanno per partecipare. I primi due “slot” sono facili da riempire: Tedua e Rkomi sono due amici, due campioni e due fan sfegatati della Dogo Gang. Lazza viene contattato per ultimo e viene scelto perché è un rapper Milanese, come i Club Dogo, ma soprattutto perché, come afferma Ernia in quest’intervista, ha sempre frequentato i suoi stessi ambienti. Ernia ci tiene a specificare, parlando di lui, che non li unisce un legame diretto (“non siamo cresciuti insieme”, afferma a 2:52) e questo conferisce un valore estremamente più alto alla decisione di ospitarlo nel pezzo. Poteva chiamare Sfera, suo amico di lunghissima data, e invece ha scelto Zzala: per il suo talento, per la sua storia e soprattutto per il grande contributo che può dare al pezzo.
L’ingresso in campo di Lazza, come spesso accade, è leggendario: la sua strofa si apre con una citazione al celebre “rimo da quando” di Guè:
Rimo da quando non mi chiamavano Zzala
per poi continuare raccontando della sua gavetta quando si muoveva “sulla 90, senza un euro in tasca” e “la nuova generazione era Paga“. Il flow è spezzettato e sommesso, a tratti addirittura sofferto, come se per l’artista fosse davvero difficile tornare indietro a quei giorni di adolescenza, in cui era circondato più da dubbi che da certezze. Al secondo 2:58, tuttavia, Zzala cambia passo e accelera, continuando a dipingere, più con le lacrime che con l’inchiostro, quel periodo in cui:
E, fra’, mi sentivo solo
Ricordo ma’ che piangeva, mi hanno bocciato di nuovo
Dopo l’autocommiserazione, tuttavia, c’è la reazione di Lazza, accompagnata ovviamente dall’auto-celebrazione e dal confronto fra passato triste e presente glorioso:
Oggi che quelli che ascoltavo, fra’, si ascoltano me
Sorridi a ventiquattro denti e la mia faccia sul Duomo
In questi due versi c’è un mondo. C’è una prima barra dal valore poetico inestimabile, da cui si può dedurre il profondo rispetto di Lazza per chi lo ha preceduto indicandogli la strada. È il concetto della legacy: per lui non esiste riconoscimento più entusiasmante dell’apprezzamento di rapper come Guè, Jake e Marra e le sue collaborazioni con artisti di questo calibro sono state inevitabilmente il vero punto più alto della sua carriera. La seconda barra, poi, esprime tutta la felicità che si può provare per il proprio riscatto sociale: una felicità sudata, conquistata e cercata, che racconta temi come rivincita, fatica, coraggio, ambizione e profondo orgoglio.
Non è un caso che a Lazza sia venuto così spontaneo narrare la propria storia da rapper con tale pathos, e drammaticità, condendo il tutto, fra l’altro, con raffinate citazioni a Marra e Guè: è la magia del boom-bap che, come si accennava nell’introduzione dell’articolo, lo trascina in un’altra epoca e gli fa scoprire uno dei sentimenti che di più ispirano gli artisti in assoluto: la nostalgia.
Alex
Alex è un pezzo completamente diverso da Puro Sinaloa, soprattutto se contestualizzato nella discografia di Lazza. Puro Sinaloa, infatti, viene pubblicata in un 2020 in cui il rapper pubblica un mixtape, quattro freestyle, un 64 Bars e diciassette featuring: è onnipresente e la sua intenzione è quella di dimostrare che le sue strofe sono sinonimo sempre e comunque di talento a profusione.
Alex invece è uno dei soli tre featuring a cui Zzala prende parte nel 2021 (finora, ovviamente) e, come egli stesso ammette nel documentario dedicato a Fastlife 4, questa scelta è figlia della volontà di realizzare uno step up, un salto di qualità:
Innanzitutto sono onorato che Cosimo (Guè, ndr) mi abbia coinvolto in questo progetto, ma gli ho detto che in questo momento della mia carriera voglio fare delle cose nuove. Siccome era il quinto featuring che facevamo, gli ho proposto di inserire un terzo artista e di proporre una combo inedita.
L’ambizione passa anche per questo tipo di proposte: rappare in un pezzo insieme a due colossi come Guè Pequeno e Salmo potrebbe sembrare una sorta di mission impossible e Lazza, invece di temere di essere schiacciato dal loro talento, addirittura chiede al primo di far partecipare il secondo alla canzone. Il risultato è una strofa da dieci e lode.
Scordiamoci la nostalgia e i toni tristi di Puro Sinaloa, perché Alex è dedicata a Alex DeLarge, protagonista di Arancia Meccanica, romanzo di Anthony Burgess e soprattutto film capolavoro di Stanley Kubrick. DeLarge rappresenta il male della società, l’ultra-violenza, è un teppista che “si diverte a pestare, stuprare, rapinare ed esercitare qualsiasi forma di violenza gratuita su vittime senza alcuna colpa, violenza che vive come uno spensierato divertimento”1. In pratica: Alex è un banger ultra-violento, un cocktail di rime-proiettili e coltellate di flow sul beat di PK e Harsh.
Lazza attacca il pezzo con un flow ipnotico e compassato, una sua specialità che aveva mostrato anche in Rapper Posse Track, iniziando a scagliare le prime rime, taglienti come lame. Le sue doti metriche sono estremamente note, ma è come se in questo caso, sul beat di stampo classic, venissero addirittura amplificate, portandolo indietro nel tempo a quando faceva freestyle e, di fatto, fare punchlines e incastri cervellotici era il suo obiettivo principale.
La punchline sul “TG per i sordomuti” è un colpo di genio, è una doppia-barra in grado di umiliare i rapper che scimmiottano le movenze dei colleghi americane. Non lascia alcuna possibilità di risposta, è la rima che in una battle avrebbe fatto tremare un locale per minuti interi:
Sento dire che spari, sì, spari con Call Of Duty
Fai i segni con le mani, sembra che fai il TG per i sordomuti
Entusiasmante, poi, è anche il cambio di flow immediatamente successivo, esplosivo e basato su un modo di rappare quasi urlato, anche stavolta al servizio delle proverbiali skill metriche:
Qualcuno per ‘sti vicoli di zona
È arrivato alla fine come i titoli di coda
Analizziamo: vi-co-li-di-zo-na e ti-to-li-di-co-da. L’incastro è sestuplo e il tasso tecnico è vertiginoso: è la magia di Lazza sul boom-bap.
Morto di fame
Fin qui, il 2021 ha visto la pubblicazione di due mixtape dall’importanza titanica: Fastlife 4 di Guè Pequeno, che contiene Alex, e Keta Music 3 di Emis Killa. Entrambi i progetti scelgono una direzione molto precisa: riportare in auge un suono di stampo classico, che si contrapponga alle tendenze trap e drill. In questi progetti l’autotune non è il benvenuto, le barre sì. Lazza anche.
La stima che alcuni grandi artisti provano nei confronti di Zzala è davvero gigantesca: se Guè Pequeno e Salmo, per esempio, prima di Alex avevano già collaborato quattro volte con il rapper, i suoi brani con Killa, prima dell’uscita di Keta Music 3, erano addirittura nove. Queste cifre dimostrano quanto rapper del loro livello si confrontino incredibilmente volentieri sul beat con lui e soprattutto quanto lo ritengano in grado di portare sempre e comunque un valore aggiunto ai loro progetti.
Ovviamente in Keta Music 3 Zzala non poteva mancare.
L’autore di Re Mida, infatti, partecipa al mixtape in veste, da un lato, di producer, scolpendo su misura la strumentale meravigliosa (anch’essa classic) di Notte Gialla, e, dall’altro, di rapper, dando vita con Emis alla street-hit Morto di fame.
Partiamo dal ritornello, che Killa e Lazza cantano insieme, inventando una linea melodica perfetta e addirittura sorprendente per la sua efficacia, se si pensa alla sonorità così old-school del pezzo:
Se penso a me dieci anni fa
Solo per strada come un morto di fame
Senza cachet, anche in un bar
Probabilmente avrei cantato uguale
È ancora il tema della nostalgia, tanto caro a quest’articolo quanto a Emis Killa, che ha dipinto questo sentimento così difficile da fotografare in capolavori come Ognuno per sé e La testa vuota. Nel ritornello di Morto di fame, infatti, i due rapper tornano indietro nel tempo, ricordando la loro adolescenza di povertà e sogni ambiziosi (è lo stesso periodo in cui Lazza era “sulla 90, senza un euro in tasca”). Allo stesso tempo, poi, nella seconda parte del rit è presente una splendida dichiarazione d’amore alla musica:
Oggi so che sei ancora qua
Quando anche l’ultima speranza mi scade
Adesso guardiamo la strofa, che Lazza approccia con una metrica complicata e cervellotica, in netta contrapposizione con il ritornello forte proprio per la sua semplicità. La barra iniziale, proprio come accadeva in Puro Sinaloa, è una citazione, un omaggio, stavolta proprio a Emis e alla sua Killa Story:
Agosto ’94, vengo al mondo
Gli anni passano e non tengo il conto
e questo consente già di sviluppare una bella riflessione. Lazza è un amante della citazione raffinata, che solo pochi sono in grado di cogliere: nella sua discografia ha citato spesso Guè, Jake (celebre è la barra-omaggio per All’ultimo respiro in Gigolò), Marra, Emis e diversi colleghi americani. È un suo trade-mark, un marchio di fabbrica attraverso cui è gli artisti citati sono in grado di cogliere il suo profondo rispetto per loro e il pubblico è in grado di scoprire la sua cultura e le sue ispirazioni. Il boom bap, in particolare, permette a Zzala di destreggiarsi più spesso in citazioni hip-hop perché evidentemente i beat gli ricordano le canzoni con cui è cresciuto, come Puro Bogotà e, appunto, Killa Story.
In questo caso, poi, la citazione è perfetta per introdurre uno “scatto fotografico” della sua gavetta, illustrato nel dettaglio e attraverso riferimenti reali, come il freddo delle strade in inverno e i mezzi di trasporto che usava al tempo (non certo automobili sportive):
Il freddo in strada che mi taglia il volto
Scopro il rap, salgo su mille pullman, mille treni, ah
E se finisce che è tardi, ritorno a piedi
C’è spazio, anche qui, per il wordplay e in particolare per un paio di rime-da-freestyle fra le più articolate della sua carriera. La prima è la seguente ed è anche stavolta un colpo di genio:
A sedici anni fuori scuola lo schiaffo del soldato
Oggi che fuori dal club fanno a schiaffi ed è sold out
e non è neanche fine a se stessa: racconta in modo incredibile lo stacco fra ieri e oggi nella vita del rapper. La seconda, invece, gioca sul doppio significato della parola primati, plurale sia di primato, ovvero record, che di primate, ovvero scimmia:
Quindi oggi che forse qualcosa inizio a capirne
So che i primati o stanno nel Guinness o sono scimmie
Prima della meravigliosa chiusura “soltanto il diavolo e Dio qua sono sempre in hype”, dal livello poetico irresistibile, Lazza avvisa un interlocutore non specificato (che molti ascoltatori hanno riconosciuto in Rondodasosa):
Ci son rimasto male perché su di te ho puntato
Ma forse torna il rap e ti vedo un po’ preoccupato
La sensazione di gioia che si percepisce nell’affermazione “forse torna il rap” è splendida: dimostra l’amore puro che Zzala prova nei confronti del suono degli anni ’90 e allo stesso tempo l’orgoglio per essere uno dei pochi rapper della sua generazione a saper rappare con dimestichezza su strumentali del genere.
Non bisogna nasconderlo: se “forse torna il rap” molti artisti della “generazione trap” andranno in difficoltà e faranno bene a preoccuparsi. Lazza no, perché ama il boom-bap e ha l’allenamento, la cultura e il background per rappare su beat di stampo classico e soprattutto per viverli. È in grado di raccontarsi “sulla 90 senza un euro in tasca” e “solo per strada come un morto di fame” e di favorire il suo strapotere tecnico con incastri sestupli e giochi di parole come quello sui primati. Come dimostrano le citazioni e immagini come quella del diavolo e Dio sempre in hype, su questo tipo di sonorità riesce addirittura a innalzare il livello dei suoi testi e a renderli più raffinati. Per tutti questi motivi, dunque, quella tra Lazza e il boom-bap è una meravigliosa storia d’amore destinata a durare nel tempo.