Siamo stati alla conferenza stampa di LowLow per l’uscita di “In prima persona”

Alla vigilia della pubblicazione del suo nuovo album “In prima persona”, LowLow ha organizzato una conferenza stampa in cui ha risposto alle domande dei giornalisti. Prima di questo, però, ha voluto presentarci il suo nuovo disco.

LE PAROLE DI LOWLOW:

La parola chiave per raccontare “In prima persona” è “apertura“. È un discorso che con il mio team stiamo portando avanti su tanti aspetti. Vengo da un lavoro precedente dove il tutto era filtrato da molte citazioni e personaggi storici. Oggi ho deciso di mettere dietro il mio background culturale e di mettere in primo piano me stesso. Rispetto agli altri lavori c’è un miglioramento dato dal periodo che ho vissuto. Un periodo tranquillo, dato anche dalla situazione del Covid, che mi ha permesso di fare il mio lavoro con tranquillità. Ho voluto soffermarmi su Giulio più che su LowLow, anche se sono la stessa persona. Ho avuto la possibilità di guardarmi dentro con più coraggio e ho fatto venire fuori anche emozioni negative che precedentemente filtravo attraverso la rabbia. Quando ho paura mi arrabbio sia nella realtà e sia nelle liriche, questo però preclude alcuni aspetti della tua personalità. Ho voluto prendere come punto fermo la riconoscibilità della mia penna e ne ho fatto il centro di questo progetto. Da questo punto ho iniziato questo percorso di apertura. Un’apertura sia nei confronti del pubblico sia nei confronti nella scena. Un cambiamento più che nella forma nella sostanza.

LE DOMANDE DEI GIORNALISTI:

D: Esiste un punto di incontro tra questo lavoro e “Dogma 93”?

Lowlow: Non riesco a scindere un lavoro da un altro, però qui c’è un distanziamento rispetto al precedente lavoro poiché ho deciso di espormi e di esporre anche quei lati di me che prima non avevo deciso di mostrare.

D: C’è un brano di questo disco che più ti rappresenta?

Lowlow: Sicuramente “In terza persona“. È una canzone con cui ho iniziato un percorso culturale e affettivo. Volevo scrivere un brano sullo stare male e sono partito da un racconto di Wallace sulla depressione. Dopo averlo letto ho cominciato ad aprirmi ancora di più alla lettura che ha accompagnato tutto il percorso creativo del disco.

D: Se ti definissero cantautore come la prenderesti?

Lowlow: Mi farebbe molto piacere. Io amo il cantautorato e la scrittura a 360°, in futuro mi piacerebbe scrivere un libro, dei racconti brevi. Il mio modo di scrivere parte sicuramente dal freestyle, quello che sono andato a cercare dopo è espressione dei sentimenti in maniera più profonda. Vorrei trovare un bilanciamento tra queste due cose.

D: C’è qualche parte della tua vita che non riesci a raccontare con la musica?

Lowlow: La musica per me aiuta gli altri. Non scrivo per fare autoanalisi, per quello vado in analisi (ride). Ci sono molte cose buie nella mia vita che non racconto nella mia musica.

D: Cosa avevi paura di raccontare di te stesso negli scorsi dischi?

Lowlow: Avevo paura di esporre le mie fragilità. Se non raggiungi un certo senso di consapevolezza ti viene difficile raccontare tutto senza filtri, scrivevo del mio dolore senza che fosse troppo doloroso per me rileggerlo.

D: Qual è la scintilla che ti ha portato ad aprirti in questo disco?

Lowlow: La maggiore tranquillità che ho avuto in questo periodo, ho riflettuto sul fatto che io sia una persona interessante che può avere tante cose da comunicare. Con il mio team ci siamo concentrati su questo aspetto e abbiamo sperimentato sia con la scrittura e sia con i generi musicali. Ho sentito mia al 100% la canzone con Ghemon il giorno prima che uscisse, apprezzandola oltre che con la testa anche con il cuore.

D: Cosa ti ha lasciato lavorare con dei veterani della scena come Big Fish, J-Ax e Ghemon?

Lowlow: Ghemon ha una cultura musicale incredibile e per quanto riguarda il rap abbiamo dei gusti molto simili. Con Big Fish ho un rapporto speciale e lavorare con J-Ax mi ha emozionato molto. Sicuramente lavorare con artisti di questo calibro ha portato a migliorare il disco e a poter creare cose nuove e interessanti.

D: Con chi ti piacerebbe collaborare della nuova scena?

Lowlow: Mi piacciono molto Blanco e Margherita Vicario, inoltre mi piace il modo di scrivere e di raccontare di Tedua. Al momento ti direi questi tre.

D: Nel disco c’è un forte legame a Milano. Cosa rappresenta per te questa città?

Lowlow: Milano mi mette di buon umore, già dal fatto che la gente si veste molto bene (ride). Milano da ragazzino la vedevo come la città in cui ero quello che volevo essere perché ci andavo per partecipare alle gare di freestyle. Per il tipo di personalità molto frizzante che sono Milano mi si addice molto. Ho un bellissimo rapporto anche con Roma e ho un sacco di ricordi che si legano a questa città. Però Milano è molto figa (ride).

D: I tuoi fan di vecchia data come potrebbero prendere questo disco che rappresenta l’inizio di un nuovo percorso per te?

Lowlow: Rispetto a prima ho notato che vengo fermato da ragazzi di età maggiore e questo mi fa molto piacere. Allo stesso tempo credo che questo disco possa rendere molto felice il core del mio pubblico. Chi ha seguito tutto il mio percorso credo che apprezzerà sicuramente il mio aprirmi e la mia autenticità in ciò che scrivo. Questo è un disco che farei sentire sia ad una persona che non sa nulla di me e sia ad un fan di vecchia data.

D: Credi che in questo disco ci sia una traccia come “Ulisse” che ti ha permesso di espandere il tuo pubblico?

Lowlow: Non è una mentalità vincente farsi aspettative sulle canzoni. “Ulisse” nacque come la canzone che doveva far vedere agli altri quanto fossi bravo e non quella che doveva farmi espandere. Non è una cosa che si può calcolare, è giusto cercare di emozionare le persone e mi chiedo come poterlo fare nuovamente come è stato come “Ulisse”. Questa è una cosa che mi interessa.

D: Dove vuoi arrivare in questo tuo percorso?

Lowlow: Non mi pongo limiti. Parliamo di musica e quindi di arte, non ci sono limiti in questo. Posso dire che uno dei miei obiettivi, oltre che rendere soddisfatte le persone di quello che faccio, è essere soddisfatto io stesso del mio percorso.

D: Come hai detto prima questo è un disco di apertura. Nel passato ti è mai capitato di sentirti non capito sia dal pubblico che dagli addetti ai lavori?

Lowlow: Non mi sono mai non sentito capito dal pubblico, non credo ci sia un buon pubblico o un cattivo pubblico. Il pubblico è sempre buono perché sono persone come me, persone recettive ed è mio compito arrivare a loro. Nei confronti della scena il discorso è diverso. Io credo che, anche per mia colpa, la mia competitività può essere passata come disprezzo o come qualcosa di negativo. Io mi sento in competizione e per me di base c’è un sano rispetto. In alcuni casi però ho commesso io stesso degli errori e da lì è partita la solita antifona del “è bravo ma è matto“, bravo non lo so ma matto sicuro! Però voglio essere io a spiegare i termini in cui sono matto, a spiegare la mia ambizione e come questa renda la mia vita frenetica. La mia testa è in continuo movimento. Voglio far capire che questa benzina che ho può causare anche degli incendi buoni!

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