La recensione di “Djungle”, il primo album di TY1 con produzioni quasi esclusivamente in lingua italiana, uscito il 7 maggio per Thaurus/Believe.

Il 2021, fin qui, è stato un anno di qualità assoluta, che ha visto uscire quasi esclusivamente album di grande caratura, come Ali di Il Tre, Taxi Driver di Rkomi, Solo Tutto di Massimo Pericolo e Madame di Madame. Tutti i progetti citati sono accomunati da un fattore: la volontà di sperimentare, vero e proprio motore dell’evoluzione stilistica degli autori. Non è mai successo, infatti, nella storia del rap italiano, che gli artisti fossero, da un lato, così liberi e svincolati dai canoni del loro genere e, dall’altro, così circondati da stimoli e da fonti d’ispirazione. Oggi i rapper non devono neanche più guardare necessariamente all’estero per scoprire qualcosa di innovativo: ormai, in Italia, viene pubblicato ogni mese almeno un disco dal taglio assolutamente unico. È un momento di enorme fermento artistico.
Se si parla di sperimentazione nel 2021, tuttavia, non si può fare a meno di citare l’ottimo lavoro di Mace, OBE, un disco che, con il suo successo straordinario, ha inevitabilmente sdoganato un certo tipo di approccio alla musica, il quale vede la sperimentazione come chiave di volta degli album e l’originalità come obiettivo da conseguire. A proposito di questo, @francescopennacchi, in un suo articolo, scriveva che:
L’originalità è il primo e più importante tassello sui cui si basa il clamoroso successo di questo progetto (OBE, ndr). In un periodo musicale come quello che stiamo vivendo, che vede un passaggio di testimone dalla trap alla drill, questo disco urla a grande voce “me ne frego”. Non stiamo parlando della canzone di Achille, ma non ci sono altri modi per poter definire il pensiero musicale di MACE in merito a quelle che sono le tendenze del momento. Questo progetto è imparagonabile con tutto quello che adesso c’è in giro, ed è proprio questo il suo punto di forza: l’originalità.
Il successo di OBE, per certi versi anche sorprendente, ha dimostrato che in questo 2021 così particolare ci sarebbe stato spazio anche per dei producer album di qualità e, proprio per questo, non poteva esserci momento migliore per l’uscita di Djungle, il primo disco di TY1 con produzioni quasi esclusivamente in lingua italiana.

TY1 non è certo l’ultimo arrivato: il suo percorso musicale – da disc jockey, non da producer – è cominciato ben trent’anni fa: si parla dunque di un veterano, quasi di un’istituzione del rap italiano che ne ha visto con gli occhi l’intera evoluzione e che ha partecipato da protagonista a eventi storici fondamentali per l’imposizione nazionale del genere. Fra gli highlights della carriera del deejay di origini salernitane bisogna citare:
- la vittoria dell’ITF (Italy DJ Championship) nel 1997,
- l’essere diventato di fatto uno dei deejay più importanti per la scena rap italiana, come dimostra la sua presenza nel programma MTV Spit,
- la collaborazione, ripetuta nel tempo e sostenuta da risultati brillanti, con artisti come Marracash, Clementino, Guè Pequeno e Capo Plaza.
Negli ultimi anni, infatti, TY1 si è rivelato anche un ottimo producer, affidabile e versatile: lo dimostrano strumentali di livello come Business Class e Resident Evil, che riescono a valorizzare, da una parte, rapper maturi come Marracash e Clementino e, dall’altra, ragazzi della nuova scuola come Rkomi e Izi. La sua conferma da beatmaker, quindi, non poteva che passare per la pubblicazione di un producer album, anticipato dalla prima canzone rap del decennio 2020-2029, Sciacalli.
Sciacalli faceva incontrare in modo eccellente due rapper dallo stile esplosivo e brutale, Noyz Narcos e Speranza, proponendogli una strumentale da guerriglia, con un kick roboante che somiglia più all’esplosione di una granata che al suono di una grancassa. Nel secondo singolo estratto dal disco C’est la vie, invece, TY1 ha scelto di confezionare un beat afrotrap per Capo Plaza (in quel momento in uno stato di forma irresistibile) e il big della scena francese Dosseh, che a loro volta hanno confezionato una splendida hit, melodica e a suo modo rilassante. Due singoli a distanza di poco tempo, Sciacalli e C’est la vie, prima la tempesta e poi la quiete. Lasciavano senza dubbio presagire un progetto interessante e pieno di imprevedibilità, che, prima di recensire, vale la pena introdurre analizzando le sue due prime canzoni.
Djungle si apre, tuttavia, con una title track ampiamente inferiore alle aspettative, nonostante una splendida strumentale di TY1 e un ritornello di Marracash perfetto per il concept del disco. Questo, infatti, fonde già da titolo le parole DJ e giungla, riferendosi chiaramente alla giungla urbana, e Marra dipinge un ritratto di questa ambientazione vivido, da artista vero, riprendendo la splendida Benvenuti nella giungla:
Tra gli animali, i criminali, piogge torrenziali
Sono cresciuto nella giungla
Tra gli scimmiati, tra i selvaggi, i viaggi psiconauti
Sopravvivo nella giungla
Tra cobra e droga, roba e coca, botta e kumite
Sono strafatti e malfidati questi scimpanzé
Vogliono prendersi quello che più appartiene a me
Benvenuti nella giungla
“Cobra e droga” è la sintesi perfetta del valore di questo ritornello, che proietta l’ascoltatore fin da subito nella città-giungla, stuzzicandone la fantasia attraverso le metafore (i cobra, ma anche le piogge torrenziali e gli scimpanzé), ma al contempo rende vivido e serio il racconto, grazie alla street credibility del suo autore. Purtroppo, però, gli altri due ospiti del pezzo, Taxi B e Paky, non sono riusciti a mantenere lo stesso tasso qualitativo.
Paky ha confermato, dopo la delusione Sport RMX, di non essere ancora pronto a un duetto con Marracash, nonostante abbia comunque evidenziato una sua netta e incoraggiante crescita in termini di scrittura. Il rapper di Rozzi è entrato citando Guè Pequeno, ha messo a segno qualche bel gioco di parole (computer/compiuti) e delle punchlines di livello, come quella sulle Geox o:
Avevo le buste nel Booster, non sono Anna Bando
ma non ha ancora il peso specifico ad aprire un disco al cui interno figurano rapper come Neffa, Jake La Furia, Guè Pequeno ed Ernia. Taxi B, invece, è anche difficile da commentare: risulta nullo a livello lirico e completamente allo sbando a livello di flow. Vale la pena interrogarsi sulla scelta di affidare a questi due rapper, sicuramente dal grande seguito ma inadatti a sopportare la responsabilità di una traccia con Marra. Forse sarebbe stato più vincente affidare le strofe di Djungle ad artisti-garanzia, come Emis Killa, Ensi o Luchè, e se proprio si fosse sentito il bisogno di chiamare dei volti nuovi, una scelta più prudente sarebbe potuta ricadere su J Lord o su Massimo Pericolo.
Nada, seconda traccia di Djungle, invece, è una splendida street hit, che valorizza Guè Pequeno, Capo Plaza e il cileno Pablo Chill-E, facendoli brillare su un riuscitissimo beat da club. Se c’è una certezza, nel rap italiano, è che Guè Pequeno è il rapper migliore che si possa chiamare per un banger un po’ zarro e un po’ gangsta e in Nada, in particolare, risulta ancora più ispirato del solito.
La strofa del Guercio è grezza rispetto a quelle che riserva per i suoi progetti solisti: le sporche sono molto esagerate e i cambi di flow presentano stacchi forzati come quelli al secondo 0:40 e a 0:51, ma forse è proprio qui che si nasconde la magia, cioè nella sua spontaneità, nella sensazione di divertimento trasmessa dagli artisti. Soprattutto, il tasso qualitativo è davvero altissimo, basti pensare ai cambi di flow citati: con il primo Guè alza il ritmo di colpo, mentre con il secondo lo addormenta, dimostrando che, con il flow, in pratica è onnipotente.
È ottima anche la performance di Capo Plaza, che aggiunge valore, con la sua voce, al ritornello del pezzo e che soprattutto dimostra ancora di essere, nei banger e in particolare sull’afrotrap, davvero irresistibile, stampandosi e rimbalzando sui kick con scioltezza – e quasi godimento – come dimostra, per esempio lo scatto al secondo 1:52.
Infine, come anticipato, il brano viene chiuso dal cileno Pablo Chill-E, che risulta per distacco il meno convincente dei tre, ma aggiunge comunque una strofa discreta, in grado di rendere un po’ più esotica Nada e un po’ più prestigioso il disco di TY1.
Dall’analisi dei due brani introduttivi di Djungle risultano due conclusioni sequenziali, ovvero:
- Da un lato il lavoro del producer TY1 è stato ottimo in entrambi i pezzi. Il beat di Djungle è una strumentale ottima, sprecata malamente da due strofe non all’altezza di Taxi B e Paky, e lo stesso si può dire per quello di Nada, trasformata egregiamente in un missile da Guè, Plaza e Pablo. L’unico errore del deejay salernitano è da ricercare nella scelta degli ospiti, ma gli si può attribuire solo in parte: è un musicista, non un selezionatore di rapper!
- Dunque – forse OBE di Mace ci aveva fatto un po’ scordare questo assioma che vale per qualsiasi producer album – il lavoro di TY1 dipende necessariamente e in modo decisivo dai rapper che accoglie nel CD. Se Guè e Plaza sono in forma, la traccia diventa un bel banger, mentre se Taxi e Paky tradiscono le aspettative, Djungle funziona solo a metà.
Estendendo l’analisi al resto di Djungle, si ottiene la sua recensione: quando gli ospiti hanno brillato, il progetto è stato di ottimo livello, mentre quando hanno deluso, la qualità si è logicamente abbassata. In ogni caso, però, le delusioni, nel corso del progetto, sono state davvero poche.
Massimo Pericolo, in Adesso, ha trovato un’intesa efficacissima con TY1, che gli ha cucito addosso un beat cupo e incalzante (Fibra direbbe “che sembra un poliziesco”) e ha valorizzato le sue barre appuntite e roventi come:
Fate i duri con i grugni, chi ci crede?
Stringete i pugni, ma per farmi le seghe (Gang)
Storie allegre di come vi vedete (Eheh)
La tristezza è che davvero ci credеte
Chi c’ha una sfiga che fa brutto pure ai froci
Perché l’ha presa nel culo dalla vita come pochi
Dopo impara tutti i giochi
E si rialza come Rocky e può guardarti dritti gli occhi
E romanzarla in tutti i modi, ma (Pow)
ed è certamente un esempio di ospite che brilla e alza la qualità di Djungle.
Lo è anche Rkomi, letteralmente devastante in Amy, dove è tornato a rappare duro ricordando le collaborazioni con Night Skinny. TY1 non lo ha messo alla prova su un beat soffice e pieno di chitarre, come quelli del suo ultimo disco Taxi Driver, e allora Rkomi si è trasformato in una mitragliatrice, sparando cartucce sotto forma di rime affilate come: “ho una calligrafia di merda, però scrivo da Dio” e accelerando, mangiandosi la strumentale sia con il suo ritornello melodico che con le sue strofe supersoniche.
Oltre alle solite garanzie, però, fra le note decisamente ben suonate di questo disco vanno annoverate le performance di due new entries del rap italiano:
- Touchè, bravissimo in Squali, da un lato, a danzare sulla strumentale anche piegando gli accenti delle parole (facendo rimare umiltà con firmata e con strada) e, dall’altro a intendersi con un ispirato VillaBanks, specialmente nella bella strofa finale. Soprattutto, la sua scrittura nella strofa è testimonianza di un carisma davvero unico, che potrebbe risultare il suo vero fattore determinante
- Vettosi, che si è trovato sul beat di Pussy con MC Buzz, di San Paolo, e ha dimostrato idee chiare e personalità, oltre a uno stile già ben definito e rodato anche su una strumentale non facile, di stampo brasiliano. La sua, dopo Marco Da Tropoya con Guè, è già una prima conferma.
Cos’è che invece non ha funzionato, nel progetto di DJ TY1? Davvero poco in realtà. Da Nada a Nun me saje il progetto scorre senza abbassare il livello neanche per un attimo. Anzi, regala addirittura momenti di introspezione.
Ernia si è confermato poeta in Via da qui, Ketama126 e Solero hanno raccontato con passione la loro quotidianità in Lattina e Neffa ha cantato l’amore in napoletano con classe in Nun me saje.
Si potrebbe dire che Novanta sia un po’ un filler, ma l’impegno di Samuray Jay è troppo evidente per non essere riconosciuto, mentre per Jake La Furia il discorso sembra più complesso: ultimamente le sue strofe non sono accettabili per essere quelle di uno dei cinque rapper italiani migliori di sempre. Dopo le perle di 17, ci si aspetta una qualità, lirica e musicale, nettamente superiore. In ogni caso, nonostante sia di poco inferiore alle altre tracce, il pezzo è comunque convincente.
L’unica vera scelta sbagliata di Djungle (insieme a quelle già analizzate della title track, più gravi perché si tratta della traccia introduttiva) è quella incomprensibile di sprecare una strumentale meravigliosa come quella di Hit or M¥SS, con una Myss Keta che sembra avere ben poco da dare, ormai, alla musica italiana. Peccato, perché il beat, allucinogeno, psichedelico e in cassa dritta, formava con gli scratch del ritornello una vera e propria opera d’arte.
In conclusione, dunque, risulta che Djungle sia nel complesso un progetto positivo, con tantissimi alti e pochi bassi, in cui TY1 ha lavorato con impegno, mettendo a frutto la sua esperienza e la sua cultura musicale.
Il punto di forza di questo disco, infatti, è senza dubbio la polivalenza: al suo interno è presente il rap da club di Nada, la trap di Fantasmi e Squali, il boom bap di Djungle e Novanta, l’afrotrap di C’est la vie, e ancora i ritmi solenni di Via da qui, la cupezza di Adesso, l’aggressività di Sciacalli e via dicendo.
Corretta qualche imperfezione, Djungle sarebbe stato sicuramente un vero e proprio capolavoro, ma c’è ancora tempo per aggiustare un po’ il tiro, magari attraverso una repack di cui TY1 ha già iniziato a parlare. Servirà, tuttavia, una Repack con la R maiuscola, che possa aggiungere vigore e valore all’album, non una repack di scarti del progetto originale.
In ogni caso, però, il lavoro di TY1 per il CD è stato di buon livello e la pubblicazione di Djungle non può che avere rappresentato un momento di gloria meritatissimo, quello di una figura che ha davvero fatto la storia di questo genere musicale.