Rivivere: “The Island Chainsaw Massacre”

“Rivivere” è la rubrica adatta a chi vuole ripercorrere, track by track, i dischi del passato, spostando le lancette indietro nel tempo e togliendo la polvere dagli scaffali del rap italiano.

È il 18 maggio del 2011 e la primavera, un po’ alla volta, sta lasciando spazio a un’estate in cui qualsiasi club italiano trasmetterà a ripetizione Tranne Te. Nell’anno successivo il copione sarà lo stesso, ma la hit sarà un’altra: P.E.S. Apparentemente, non è un bel momento per il rap italiano.

Consultando gli archivi dei dischi usciti, invece, ci si accorge di pubblicazioni splendide di quell’anno, come Il ragazzo d’oro, disco d’esordio di Guè Pequeno da solista, Penisola che non c’è di Fedez – impossibile, oggi, da ascoltare senza essere accompagnati da una maledetta malinconia – Post Scripta di Kaos, Commerciale degli Onemic, Thori & Rocce di Don Joe e Shablo e soprattutto King Del Rap di Marracash. Quest’ultimo, nel 2011, è il rapper probabilmente più completo d’Italia (non che la situazione nel 2020 sia minimamente cambiata) e si sta preparando a una carriera parallela da talent scout che gli permetterà di scoprire, negli anni successivi, artisti come Sfera Ebbasta e Charlie Charles, Rkomi, Achille Lauro, Fred De Palma e di rilanciare la carriera di un colosso come Luchè.

Torniamo al 18 maggio, data in cui Marracash si imbatte in una canzone di Salmo – casualmente è Il senso dell’odio, il suo primo video ufficiale – e la condivide su Facebook entusiasta. Nei mesi successivi parlerà dell’artista sardo con parole al miele in più interviste e lo ospiterà in ben due brani del suo King Del Rap, Né cura né luogo e Marrageddon.

Il progetto esce il 31 ottobre, data in cui tutti gli appassionati di rap italiano conoscono ormai il nome di Salmo, esploso anche grazie a quella condivisione, ma soprattutto per il suo masterpiece The Island Chainsaw Massacre, uscito l’1 febbraio dello stesso anno. Al tempo il portale di riferimento per il rap italiano era il sito web hano.it, che al termine di ogni anno faceva stabilire al pubblico quali fossero i dischi più riusciti. Nel 2011, Post Scripta viene eletto album migliore e il podio viene completato proprio da The Island Chainsaw Massacre e King Del Rap.

Con tutto il rispetto per Don Kaos: TICM non solo è senza la minima ombra di dubbio il disco migliore del 2011, ma è anche una delle opere più riuscite della storia del genere in Italia. The Island Chainsaw Massacre ha cambiato dall’interno le regole e gli equilibri del gioco e, soprattutto, ha lanciato la carriera di Salmo, una Leggenda con la L maiuscola.

Morte in diretta

È interessante notare che la prima parola della discografia ufficiali di Salmo – per intenderci, quella rintracciabile dai suoi canali ufficiali – sia il suo nome, cantato da un coro solenne e allo stesso tempo lugubre. Morte in diretta è un brano che affonda, come tutto il disco, le sue radici in una poetica spettrale, spaventosa e splatter, a base di sangue, mutilazioni e cadaveri in decomposizione, che non può che affascinare l’ascoltatore tanto quanto lo attraggono i film violenti e sanguinari di registi come Rob Zombie e Tarantino (due nomi che ritorneranno più volta nella carriera del rapper sardo).

La prima strofa sembra appartenere a una canzone metal piuttosto che a una hip hop ed è questa la grande rivoluzione di Salmo: sin dal primo disco è stato visionario nell’evolvere la follia di Mr. Simpatia di Fibra e renderla cinematografica, immaginifica, visiva, anche attraverso i videoclip. Nella seconda strofa, infatti, riecheggia lo stile dello Sfiber di Mal di stomaco nella critica avvelenata di Salmo ai media, specialmente nella violenza verbale di versi come:

Vogliono troie, omosessuali e trans nelle TV
Solo perché il sangue non commuove più

A livello stilistico, poi, si parla di un artista completo, che è già producer di livello e di rottura e rapper originale, che chiude le barre con flow sporchi e sofferti con cui esalta una scrittura ispirata e molto ben definita. Soprattutto – questo sorprende particolarmente ma è proprio qui che va ricercato il gusto di “rivivere un CD” – il suo ritornello è già da artista maturo: orecchiabile ma profondamente denso di significato. Riesce a cullare l’ascoltatore nonostante l’argomento horror e a fargli respirare ogni singola parola del testo, accompagnato dagli scretches del fedelissimo DJ Slait.

L’erba di Grace

È davvero difficile immaginare come possa essere balenata in testa a un rapper del 2011 l’idea di pubblicare un disco completamente rivoluzionario e visionario come The Island Chainsaw Massacre, con al suo interno pezzi dalla struttura come L’erba di Grace: due minuti di strofa violenta e spaccapietre e un’outro angelica e paradisiaca che sfrutta il campione di Blue Moon, un masterpiece di un cantante statunitense degli anni ’60.

In realtà non è poi così difficile, perché Salmo non è un rapper del 2011: è un artista – già classificarlo come “rapper” significa cogliere solo un aspetto della sua personalità – senza tempo, ispirato dalla Musica con la M maiuscola. Salmo ama la Musica e ne sfida i limiti, la mette a dura prova, ci fa l’amore e ottiene come risultati brani di questo tipo, sensazionali e fuori da qualsiasi tipo di schema.

Qualcuno oggi afferma che il Salmo degli ultimi anni è molto più ironico e comico di quello dei primi progetti e ha probabilmente ragione nel sottolineare questo cambiamento, ma va ricordato che, in un modo o nell’altro, il divertimento è sempre stato ingrediente fondamentale della sua musica. L’erba di Grace al minuto 0:30 vede il suo beat interrompersi all’improvviso mentre Salmo rappa:

La base si in-canta

e questo tipo di espedienti – come lo saranno le strofe non finite di 7AM e MOB – dimostrano la volontà di giocare con l’ascoltatore (e di prenderlo un po’ in giro) e combattono con un altro sentimento-cardine della poetica di Salmo: quello violento, aggressivo e incensurabile. Una quartina vale più di mille parole:

Sembra tutto fottutamente insicuro
Parlo per chi non ha voce abbastanza per mandarvi a fare in culo (Aahhh!)
L’Italia e la sua musica per checche isteriche
Se la mia voce è nel tuo pc, schizza sangue dalle periferiche

Il senso dell’odio

Il senso dell’odio non è una canzone, è una mazza da baseball che ti colpisce in pieno volto, mandandoti in apnea e costringendoti a riflettere su argomenti spaventosi dai quali è più facile scappare e nascondersi. Il senso dell’odio è talmente strepitosa, a livello lirico-poetico, che meriterebbe un’analisi approfondita per sviscerarne ogni singola parola. Ogni singolo verso, sputato sul beat con quelle metriche oscillanti e da mal di mare.

Per esempio, è affascinante sottolineare i seguenti versi biografici:

Sapessi quante ne ho fatte di corse
E tutti questi anni di “Avrei dovuto”
“Potevo”, “Dovevo”, “Volevo”, “Se fosse”
O se magari avessi avuto una faccia normale
Senza problemi per socializzare
Per come vivo è un fatto istintivo
Scrivo versi per i presi male

che, un po’ per la sua natura di artista mascherato e poco propenso a parlare si sé (se non con la musica) e un po’ per la sua scrittura criptica e misteriosa, non aiutano comunque a definirne la personalità.

Salmo parla di sé, nel brano, ma non solo, si sente anche di bucare lo schermo e coinvolgere l’ascoltatore, rapirlo, catturarlo e trascinarlo nel suo viaggio, come nei versi:

Tutto ciò che fai ha il suo valore
I ricordi sono come la mafia
Pentirsi è un disonore

dotati di una forza magnetica terrificante. Tuttavia, nella sua poetica, la seconda persona è sempre stata ambigua: è impossibile capire quando sta parlando con l’ascoltatore e quando invece, come all’inizio del brano, sta simulando una doppia personalità: un Maurizio Pisciottu che si confronta con Salmo.

Infine, è da sottolineare un bridge-dichiarazione d’intenti, una serie di versi con cui raccontare non solo TICM ma anche la carriera di Salmo, la sua poetica e la sua intera carriera da artista:

Il principio di chi suona è stare in parallelo
Alla linea di ciò che funziona
Potremo essere diversi
A me basta vedervi sotto il palco a cantare i miei versi

Back On Track

Salmo ed En?gma sono stati gemelli di barre, coprendosi le spalle a vicenda, iniziando contemporaneamente le loro carriere e completando la loro formazione titolare con Hell Raton – al tempo El Raton – e Slait. Anche quando Machete, qualche anno dopo l’uscita di TICM, includerà figure come Nitro e Jack The Smoker, Maurizio e Marcello continueranno a essere i leader tecnici e carismatici dei primi tre Machete Mixtape, con la loro sintonia e con le loro profonde differenze stilistiche.

A Salmo brillano gli occhi quando si parla di contaminazione fra generi musicali, mentre En?gma è un purista dell’hip hop fatto con i suoi crismi e le sue precise regole. Salmo è misterioso, scrive sporco e cita la regia di Tarantino e la musica degli Slayer, mentre En?gma incastra barre meno poetiche ma più esplicite e cita a memoria miti e leggende della cultura greca. La differenza li unisce: i due sono un’accoppiata strepitosa.

Back On Track è il classico esercizio di stile in cui la competizione è stimolo e garanzia di risultato. I due olbiesi fanno a gara a chi rappa meglio e a chi scrive le rime più fighe, ma è impossibile trovare un vincitore. La qualità è talmente alta, fra la grinta di Marcello e le perle di fango di Maurizio, come:

Ho le mani in faccia i flashback dei ricordi
Il destino fa le foto per grattarne via i volti

che l’unica certezza è un pizzico di delusione, provocato dal pensiero che il rap italiano avrebbe avuto bisogno e avrebbe meritato qualche loro duetto in più. Invece, di brani in cui rappano esclusivamente loro due, ne esistono soltanto due: Back On Track, appunto, e Munchies. Sono entrambi in The Island Chainsaw Massacre.

Vuoto

Vuoto è una delle tracce meno celebrate di TICM nonostante sia in assoluto una di quelle più esplosive e con le rime migliori, esaltate da una strumentale drum & bass strepitosa “da sì sì con la testa”. Flow come pugni con i guantoni e rime perfette per esaltare il pubblico durante un concerto: questi gli ingredienti principali del brano. Ne è presente anche un terzo: la citazione.

Quando si pensa allo stile di Salmo è inevitabile non collegarlo all’enorme quantità di riferimenti -cinematografici, musicali, storici, letterari, sportivi e talvolta persino filosofici – con cui farcisce i suoi testi. Nessun rapper italiano può vantare la sua stessa padronanza della citazione come espediente lirico e solo in Vuoto fa riferimento al Joker di Nicholson, al pugile Primo Carrera, una scena notissima di America History X, al mito religioso di Sodoma e alla protagonista di Twin Peaks.

Attenzione: non sono riferimenti fini a se stessi, ma orientati all’esposizione di un concetto, al suo rafforzamento tramite l’immagine e il richiamo a qualcosa che l’ascoltatore già conosce. Soprattutto, Il senso dell’odio aveva solo una citazione (a John Titor), dunque, al contrario di quanto si possa pensare, Salmo al tempo era tutto tranne che citazioni-dipendente. Anzi, aveva già almeno tre o quattro approcci completamente diversi alla scrittura. Traduco: era già un fuoriclasse.

La prima volta

Mi permetto di uscire dalla narrazione impersonale e di raccontarvi quello che è forse il brano più incredibile dell’intera discografia di Salmolebon – “sicuramente sul podio” direbbe Marracash – attraverso la mia esperienza di ventunenne. Quando mi sono approcciato per la prima volta al rap, era appena uscito Midnite ed era dunque il 2013. Tanti miei coetanei già ascoltavano il rap e i rapper che andavano per la maggiore a Roma in quel momento erano in ordine: Gemitaiz, Salmo e Noyz Narcos.

Come avete potuto intendere, avevo quattordici anni e Gemitaiz, con i suoi testi dritti al cuore e i suoi flow da velocista, mi stregava e mi entusiasma, mentre facevo più fatica ad apprezzare le rime criptiche di TICM e Midnite, che avrei riscoperto dopo l’uscita di Hellvisback. C’erano comunque dei brani di Salmo che un ragazzino della mia età doveva conoscere per forza se non voleva essere considerato “fuori dal mondo”, come Russel Crowe, Rob Zombie e Killer Game (che a quattordici anni ritenevo il suo pezzo migliore), Nella pancia dello squalo, Disobey e Stupido gioco del rap.

Nessun quattordicenne avrebbe mai nemmeno pensato di fare un passo oltre la violenza e il “fomento” di queste canzoni, che erano tutto quello che ci serviva per sentirci sporchi e trasgressivi. Tuttavia, ricordo che un mio compagno di classe aveva scoperto tramite un commento su YouTube che la traccia più bella di Salmo non figurava in quell’elenco, ma aveva un altro titolo (e ovviamente se lo era scordato). Un po’ alla volta abbiamo scoperta tutti il titolo di quel capolavoro: era La prima volta ed è, probabilmente, il brano più emozionante dell’intera discografia del sardo.

Mettiamoci le cuffie e godiamoci l’ascolto, perché di canzoni come questa non ne esistono altre.

La prima volta ricordo era un fine settimana
Stavo sui tredici, lo zaino pieno di Montana
Gli anni del writing, dei muri nell’hall fame
La notte, gli street name, delle tag sugli skate

così inizia la canzone al secondo 0:00. Non c’è spazio per un assaggio di strumentale, si entra subito nel vivo. Non ci sarà questo spazio nemmeno in chiusura di brano, saranno 3 minuti e 47 secondi di parole pesanti come mattoni e splendide come diamanti.

Su una splendida base in pieno stile anni novanta, in cui la cassa e il rullante sono accompagnati da un toccante riff di violino, Salmo racconta le “prime volte” della sua vita, dal primo amore all’approccio con il rap, passando per la prima notte con una ragazza, la prima sbronza, la prima canna, il primo tiro di cocaina e la prima vera paura di morire. Il racconto è spesso interrotto da riflessioni dell’artista, che consiglia all’ascoltatore di godersi ogni cosa la vita offra, poiché la prima volta rimarrà impressa per sempre nella memoria.

La prima volta è una poesia, in cui parole e musica si fondono per comporre un racconto appassionante e coinvolgente, da cui ricomporre la vita turbolenta e sfrenata dell’artista. Inoltre, nonostante molte canzoni di The Island Chainshaw Massacre siano state pubblicate su YouTube con annesso videoclip (Rancho della Luna, Yoko Ono, Il senso dell’odio, Morte in diretta, L’erba di Grace), La prima volta, unico singolo del disco, è stata pubblicata senza alcun video di accompagnamento. Non può essere un caso: Salmo non voleva distrarre l’ascoltatore da un capolavoro del genere.

Un capolavoro che, a distanza di 10 anni, è ancora da brividi come “la prima volta”.

Un’esibizione live da brividi di Salmo, che porta La prima volta in concerto… Senza beat!

Dj Valium

Salmo è un musicista, prima ancora di essere un rapper, e non è un caso che tutti i suoi dischi ospitino al loro interno una skit esclusivamente strumentale, da Dj Valium a Hellcome!, fino a Have You Ever Had, Peyote e Tiè. Attraverso questi sfoghi creativi si respirano le idee del CD, i sentimenti, le emozioni e la vitalità dei suoni. Dj Valium, per esempio, è un intervallo che permette all’ascoltatore di riflettere sulle parole di La prima volta, che ha appena ascoltato, e di prepararsi psicologicamente all’esplosività di ciò a cui sta per andare incontro, attraverso una progressione che un po’ alla volta diventa più acida, più sporca e più mostruosa.

Prima di dormire

Sto cercando una canzone perfetta per morire

così si chiude il ritornello di Prima di dormire, mentre la seconda strofa termina con:

Ho una canzone in testa, ho deciso
Mi vedrai morire adesso con un quarto di sorriso

Salmo è nuovamente guidato da quel sentimento violento e autodistruttivo che è un cocktail di influenze metal e di Mr. Simpatia. Prima di dormire racconta di fantasmi che non fanno dormire l’artista, mostrandogli tutto il marcio della società moderna e dell’industria in cui sta deliberatamente cercato di lavorare, quella musicale.

È un Salmo che perla della – e alla – sua generazione, del suo odio per “stadio e radio”: è uno zombie testimone del disagio, del suo paese e della sua epoca, che sceglie di raccontare attraverso immagini claustrofobiche e spaventose, come:

Guardiamo il mondo da finestrini oscurati
E nessuno ci nota, moriamo dentro affogati

L’unica speranza in questo trambusto infernale, lo si capisce dall’ultimo verso, è la musica, il senso dell’esistenza dell’artista, con cui attenua la sua sofferenza e, sebbene “per quanto possa urlare la voce non supera l’isolato“, prova farsi sentire per cambiare le regole di questo maledetto gioco.

Rancho della luna

Rancho della luna è uno dei brani di culto di TICM, perché è letteralmente un inno di Salmo alla propria natura di punk-rapstar e lo si capisce già dal suo primo, storico verso:

Non è la cresta a fare il punk, i baggy a fare il rap

in cui Salmo si autodefinisce, di fatto, “rapper a modo suo”, con le sue influenze, i suoi crismi e il suo immaginario, che non necessariamente coincidono con la visione dei suoi colleghi, per cui nutre comunque profondo rispetto.

La formula di Rancho della luna è molto simile a quella di Prima di dormire, specialmente perché l’ingrediente principale è sempre il disagio. Stavolta, però, questo disagio è mostrato non attraverso un claustrofobico sfogo intimo e quasi filosofico (nel brano precedente il rapper, fondamentalmente, cerca un filo di luce in un tunnel melmoso e oscuro), ma attraverso un’esplosione rabbiosa, furiosa e a tratti profondamente autocelebrativa. Autocelebrativa come lo è, storicamente parlando, il rap, perché, come si è scritto, Salmo è un rapper. Un rapper a modo suo – certo! – ma comunque un rapper. Anche se lo si vuole provocare dipingendolo come una rockstar.

Los Ojos del Diablo

Flashback: torniamo indietro nel tempo, ai miei quattordici-quindici anni che descrivevo poche righe fa. Chi ha vissuto a Roma ricorderà certamente i raduni di macchinette a Piazza Cavour. Qual era il sottofondo musicale alla guida? E alle feste? In sostanza, cosa ascoltavamo noi ragazzini per fare gruppo e sentirci grandi? Due parole: Machete Mixtape. Anzi, vi cito una canzone che certamente ricordate tutti quanti.

Gli ingredienti sono la brutalità di Salmo, l’eleganza di En?gma, le barre “a coltello fra i denti” di Ensi, la regalità di Bassi Maestro, la velocità supersonica di Gemitaiz… Sto parlando chiaramente di King’s Supreme, un brano che ha cambiato il rap italiano a tutti gli effetti, accendendo la miccia che avrebbe definitivamente fatto esplodere Machete.

Chi iniziava il brano? Hell Raton, al tempo, El Raton, che per noi ragazzini rappresentava un’enorme fonte di punti interrogativi. Com’è entrato in Machete un rapper latino? È un artista italiano o straniero? È famoso in qualche paese dove si parla lo Spagnolo? Se sa rappare anche in Italiano – come in Ganja Boat – perché qui sceglie di non farlo?

Per noi piccoli fan di Machete, Manuelito era un rapper misterioso e, proprio per questo, lo si considerava un valore aggiunto per la crew. Al microfono, inoltre, si è sempre confermato su alti livelli, sin dalla sua prima strofa ufficiale, Los Ojos Del Diablo, presente proprio in The Island Chainsaw Massacre di Salmo. Come nel caso di Back On Track, è un banger a quattro mani, un esercizio di stile e una dimostrazione di forza e di intesa, in cui è persino presente una strofa finale di scambi rapidi e veloci: due rime Mauri e due Manuelito.

C’è una piccola curiosità su questo brano: da una sua punchline nasce il nickname che Salmo utilizza ancora oggi su Instagram.

Se chiudo gli occhi vedo i mostri, Salmo Lebowski
Flashato in testa come se tiri Bostick

Infine una doverosa chiusura su Hell Raton. Rivivendo questo brano, e tornando quindi con la mente ai primi tre Machete Mixtape, non si può che provare tanta nostalgia e, anche qui, un pizzico di delusione per quello che sarebbe potuto essere Manuelito. Oggi è uno strepitoso talent scout e un brillante direttore creativo in grado di cambiare radicalmente X Factor dal suo interno, però purtroppo non è più un rapper a tempo pieno. È un peccato, perché era (ed è ancora oggi, come dimostrano le sue performance nel BV3) un ottimo rapper e un suo eventuale disco avrebbe sicuramente arricchito la nostra scena.

Munchies

Ormai è chiaro: The Island Chainsaw Massacre è un album di culto del rap italiano ed è un progetto prodotto, scritto e cantato interamente da Salmo. C’è spazio solo per tre artisti esterni, tre fedelissimi: Slait, El Raton ed En?gma, che timbra il disco con due performance: una positiva, quella di Back On Track, e una sensazionale, questa di Munchies.

Salmo, nella sua strofa, spara diverse barre-proiettile, come:

Odio la musica italiana, qualunque figlio di puttana
Fa la grana in hit parade, a volte vorrei
Staccare la spina come Eluana
Sparire come Mentana e fare tutti fuori come Montana

ma En?gma riesce perfettamente a mantenere il livello, regalandogli una strofa straordinaria, un mosaico di incastri e versi a volte poetici, come:

Io sono En?gma quello con troppe domande
Vent’anni ma la barba mi dice che sembro grande
Scrivo da uragano come Rubin Carter
Che dagli scheletri l’armadio mio ha già perso tutte quante le sue ante

e a volte violenti, come:

Sta gente non la smette, omette
Ma se mi parte il grillo io vi mando a fare in culo come Beppe

La serie di rime che chiude la strofa inizia con il verso:

Vorrebbe fare tutto la mia foga

e in un certo senso anticipa il titolo di quello che sarà il suo secondo album, Foga. Uscirà nel 2014 e oggi è, a conti fatti, il suo album più apprezzato. Sarà anche l’ultimo progetto che pubblicherà con Machete, ma non ospiterà il featuring di Salmo. Munchies è attualmente il loro ultimo duetto.

Yoko-ono

Yoko-ono è una delle tracce storicamente più apprezzate di TICM ed rappresenta anche un unicum del CD e dell’intera carriera di Salmo. Si apre con i seguenti versi:

Ho una Yoko Ono nel letto chiede attenzione

Scopa da un paio d’ore e credo non sappia il mio nome

che introducono con violenza e brutalità il racconto di Salmo. Yoko-ono, difatti, è stata la moglie di John Lennon ed è storicamente ritenuta la causa dello scioglimento dei Beatles (campionati nella canzone). L’artista, in The Island Chainsaw Massacre, ha già parlato di sesso e lo ha fatto, con la scrittura delicata del cantautore e il tono romantico del poeta, in La prima volta:

La prima volta, quale? Proprio quella, hai capito
Dopo ricordo che stavo disteso, zitto
Fumavo, guardavo il soffitto e i giochi d’ombra all’angolo
Era la prima volta che ho visto dormire un angelo

In Yoko-ono, al contrario, non c’è spazio per donne-angelo e giochi d’ombra da innamorati. In generale, non c’è spazio per l’amore. C’è spazio per Ilaria

La classica tipa che riceve sempre mai che deve
Bella di notte simpatica solo quando beve

per Carla, che:

Non parla
Fa prima a darla via

e per Gloria:

La peggiore t*oia della storia

Ostilità, assenza di sentimenti, apatia e disprezzo per le storie delle co-protagoniste del brano – spesso tragiche – raccontate nel dettaglio con parole al sangue: questi gli ingredienti principali di Yoko-ono. Ce ne sarebbe un altro, più difficile da individuare, che spiega le parole di Salmo e converte, agli occhi dell’ascoltatore, la sua ferocia in sofferenza mascherata, in cicatrici che bruciano ancora e in ricordi troppo dolorosi.

Potessi fermare il tempo e dimenticare tutto quello che so
Sei sempre tu dentro mille déjà vu
Mo finisce tutto all’alba non mi vedrai mai più
Potessi fermare il tempo e dimenticare tutto quello che so
Sto pensando a parole che possano farti del male

La vera protagonista della storia è la ragazza dei “mille déja vu” che rende impossibile all’artista la vita sentimentale, torturando ancora i suoi ricordi e distruggendo le sue nuove relazioni, facendogli vomitare tutto l’odio e il rancore su Carla, Gloria e sulla “Yoko-ono che chiede attenzione“.

Da qui le parole avvelenate nei confronti di Ilaria, Carla e Gloria, il fascino che si trasforma in disprezzo, la “penna maschilista“, i silenzi che non ascoltano e il “piacere tutto mio di non averti conosciuto”.

Yoko-ono è la canzone d’amore al contrario, che spacca in due l’ascoltatore, lo scotta e lo brucia, mostrandogli le conseguenze estreme della sofferenza sentimentale, con una scrittura drammaticamente e brutalmente strepitosa. In una parola: capolavoro.

Un dio personale

I singoli di TICM, salvo poche, rare, eccezioni, sono canzoni di protesta o comunque di “racconto di un disagio”: spesso criticano il mondo della musica, i talent e gli altri artisti, mentre altre volte affrontare temi sociali e politici. Come però suggerisce il suo stesso nome d’arte, una delle tematiche che non poteva venire ignorata dal rapper è la corruzione della Chiesa cattolica e, più in generale, la religione.

La tredicesima traccia dell’album, intitolata Un dio personale, attacca veementemente il mondo vaticano, aprendo la prima, unica, strofa con un verso spinto e violento:

Vorrei vedervi morire in fila
Vi guardo con mezzo sorriso, in mano un mezzo fondo di Tequila

Nella canzone Salmo attacca la Chiesa come istituzione, evidenziando gli scandali riguardanti i preti pedofili e la ricchezza accumulatasi nelle banche vaticane in più versi. Riguardo quest’ultima tematica, la rima:

Dio è morto invano, dio è morto in ogni essere umano
Dio è morto dentro tutte le banche del vaticano

ha fatto sicuramente scalpore, per la sua brutalità e per la sua blasfemia, ma, come ha dichiarato lo stesso Salmo in più interviste, va specificato che il testo condanna la Chiesa e non alla religione come spiritualità. Inoltre, il titolo, Un dio personale, che si rifà alla Chiesa di Satana, da cui l’autore di Hellvisback ha sempre preso spunti per il suo immaginario demoniaco e infernale, è spiegato nel verso conclusivo della canzone:

Senza sogni, senza fede, niente soldi, niente chiese
Un dio personale!

Il dio personale, per Salmo, è probabilmente l’uomo stesso, unico responsabile delle sue azioni e del suo destino, razionale e libero da qualsiasi desiderio di vita eterna. La stessa concezione della fede verrà ripresa dal rapper, in quasi tutti i dischi polemico nei confronti della religione, in una canzone del 2016, del suo quarto disco Hellvisback, il Messia.

Driveway

Ironico, cinico e spietato: è il Salmo del 2011. Negli anni successivi resterà ironico – le sue barre degli ultimi anni sfiorano in pratica il comedy rap – ma perderà quel cinismo provocatorio e volontariamente fastidioso dei primi dischi. Per un motivo o per l’altro, crescendo personalmente e anagraficamente, il rapper perderà quella vena folle che, in TICM, fa sì che sia presente un brano come Driveway, un altro intervallo strumentale che fa ascoltare un’intervista rilasciata da James Dean, attore e icona culturale degli anni ’50.

Gig Young e James Dean parlano di alta velocità, di macchine supersoniche e, soprattutto, dei rischi sfiorati dall’attore guidando in modo spericolato in autostrada. Dean racconta, volendo essere un buon esempio per i giovani ascoltatori:

 Avevo l’abitudine di andare un po’ troppo forte, mi sono preso molti rischi inutili sulle autostrade.
Poi ho iniziato a correre, e ora quando guido in autostrada sono molto più cauto.
Perché molti non sanno nemmeno cosa stiano facendo, molto spesso. Non sai cosa farà questo tizio, o quell’altro.
In pista ci sono molti uomini che passano molto tempo a sviluppare regole per la sicurezza. Sono molto prudente in autostrada, non sento il bisogno di accelerare in autostrada.
La gente dice che correre in pista è pericoloso, ma preferisco rischiare lì piuttosto che in autostrada.
Ok, Gig. Devo proprio andare.

C’è spazio per un’ultima domanda: “Hai qualche consiglio speciale per i giovani che guidano?” e per un’ultima risposta:

Siate prudenti. La vita che potreste salvare potrebbe essere la mia.

Dopo due settimane dalla registrazione di questo dialogo, James Dean, in sella alla sua “little bastard” Porsche Spider, verrà multato per eccesso di velocità (di circa 16km/h). Poco dopo perderà la vita, alla guida della stessa automobile, schiantandosi contro una Ford Custom Tudor.

Il Salmo di The Island Chainsaw Massacre è questo: un artista cinico e “maledetto”, in bilico fra il peggior black humor e la consapevolezza di poter cercare arte persino in eventi drammatici come questo.

Nella pancia dello squalo

Nella pancia dello squalo, quindicesima e penultima traccia del disco, è un brano iconico, perché, insieme a Rancho della Luna e Street Drive-in, è il più aggressivo ed esplosivo in assoluto. Accompagnata da un videoclip che alterna riprese di esibizioni live del rapper a scene in cui Salmo indossa, insieme ai suoi compagni, la maschera da scheletro che lo renderà celebre, la canzone inizia con una quartina passata alla storia, che recita:

Avrei voluto fare il figo in TV, ma mi è andata male perché al posto mio ci sei tu!

Fumo lo stesso pacchetto di Pall Mall blu, questa è la mia ge-ge-ge-generazione come gli Who!

Il brano è, infatti, nella prima strofa, una critica alla televisione e alla musica italiana, e, nella seconda e nel ritornello, un racconto autobiografico. Il titolo Nella pancia dello squalo fa riferimento alla pratica degli squali di non nascere da uova deposte, ma da uova trattenute nel ventre materno. Questo fa sì che spesso alcuni piccoli, al fine di sopravvivere, finiscano per nutrirsi dei loro stessi fratelli e Salmo paragona la sua vita alla pancia dello squalo, piena di avversità fin dalla nascita.

La prima strofa della canzone è ironica e paradossale: l’autore canta, stravolgendo il cliché del rapper ambizioso che ambisce al successo e alla fama:

Io non mi accontento mai in pieno
Perché quel poco che può avere un uomo sa che potrà avere ancora meno

Nei seguenti versi, in una barra macabra ma geniale, ironizza sui complotti riguardo la morte di artisti come John Lennon o Tupac affermando che “la scrittura non muore, vedrai il mio corpo ancora in giro!” e, al termine della strofa, si espone in modo violentissimo contro tre pezzi da novanta della musica italiana, affermando:

Odio Vasco Rossi, Pino Scotto e Ligabue
Tutti ‘sti stronzi non fanno un artista in due

Con Pino Scotto il rapper avrà un pesante scambio di opinioni dopo l’uscita del CD: l’ex leader dei Vanadium lo insulterà e lo inviterà a darsi fuoco sulla trasmissione televisiva RockTv Italy e Salmo risponderà con un vero e proprio dissing, contenuto nel primo Machete MixtapeVai Jack, il cui ritornello recitava:

“Il mio incubo peggiore è di svegliarmi come te, esattamente come te!”

Street Drive-In

TICM poteva concludersi con diverse possibilità: per esempio un’outro interamente rappata su un beat boom bap o una traccia “di scrittura” (come accadrà a Midnite, Hellvisback e Playlist) sembrano soluzioni credibili. Anche una chiusura esclusivamente strumentale lo sembra, come sarà Doomsday di Death USB, ma Salmo non è di quest’avviso.

È stato un disco esplosivo, dinamico, aggressivo e destinato a incendiare i palchi, dunque perché non concluderlo con un mega-banger spacca-casse? Questo pezzo è Street Drive-In, un’autentica bomba nucleare, un brano urlato e un concentrato di barre potentissime.

Mettete le cuffiette e godetevi la follia di Salmo: la chitarra entra e graffia solo l’orecchio destro e, al secondo 0:08, esplodono batteria e voce. E barre, su barre, su barre:

Uno dietro l’altro, uomo mangia uomo dove il sangue attira
Anche alla fine del mondo i lecca culo
Avranno un posto in prima fila

C’è veleno per tutti, per i “leccaculo”, per i “fighetti sulla Mini-Cooper”, per gli “sbirri in borghese” e anche per il rap della nuova scuola, disintegrato dalla seguente presa di posizione:

Vengo dal punk, dal metal, dal rap anni 90
E il “rap fresh” me lo passo in culo, stai sicuro

L’attitudine di Sreet Drive-In è – la stessa di tutto il progetto – proprio quella ribelle e disagiata del metal, del punk e di un certo tipo di cultura hip hop. Più nello specifico, il brano è la promessa di infiammare qualsiasi concerto lo vedrà protagonista.

Abbiamo infatti elencato diversi fondamentali, dalla scrittura alla produzione, passando per la violenza dei flow e per la versatilità, che Salmo padroneggia alla perfezione già nel 2011, ma non abbiamo ancora elencato il suo principale punto di forza: la potenza dei suoi live. Non sorprende che The Island Chainsaw Massacre si chiuda con uno spacca-concerti, perché è perfettamente comprensibile. Rispecchia al 100% l’anima del disco.

Inoltre, se suonare dal vivo è ciò che rende un artista realizzato, chiudere il proprio disco d’esordio in questo modo è, di fatto, una dichiarazione d’amore alla musica.

E TICM non poteva terminare in modo più poetico.

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