Mr. Fini – Un CD da leggenda e da rapper “Immortale”
Partiamo con una premessa fondamentale: Mr. Fini non è per tutti. Paradossalmente, Persona di Marracash – il probabile miglior disco italiano del decennio scorso – era un progetto molto più facile da comprendere: il concept era chiaro, la genesi del disco anche e i testi, soprattutto, erano accessibili a più livelli di lettura. L’ascoltatore più colto e istruito riesce a toccare con mano la profondità dell’opera d’arte, ma Crudelia e Supreme, per esempio, sono brani letteralmente per tutti i tipi di pubblico.
Mr. Fini, invece, è un disco difficile da ascoltare, da capire e da apprezzare: bisogna essere prima di tutto ascoltatori curiosi, alla ricerca del dettaglio, che vogliono capire le scelte di sound e di lessico, studiare le mille influenze di un cultore della musica come Guè Pequeno. Ancor più importante: per amare Mr. Fini bisogna conoscere il suo autore, una personalità complessa e piena di sfaccettature, che riesce ad affascinare tanto nei suoi momenti tormentati quanto in quelli goliardici. Guè è misterioso e pieno di contraddizioni, un poeta e contemporaneamente uno spaccone della peggior specie, romantico e spezza-cuori, capace di dar vita, in meno di due anni, a due progetti opposti come la compilation di hit Sinatra e il classico istantaneo Mr. Fini.
Per rinfrescare la memoria a qualcuno, Sinatra è stato probabilmente il progetto meno apprezzato di Guè, che lo definisce nelle interviste “un disco ludico“. Per definire “poco riuscito” un CD del Guercio ci vuole coraggio, perché anche Sinatra è una dimostrazione straordinaria di tecnica, di attitudine e di carisma. Il motivo per cui è stato ridimensionato da critica e pubblico è da ricercare proprio nella sua natura di album più semplice: non c’erano i meravigliosi testi d’amore di Vero, la ricerca della barra killer del Ragazzo D’Oro né tantomeno la complessità e la classe di Gentleman, era un disco più “per tutti”.
Mr. Fini, invece, è probabilmente il progetto meno accomodante dell’artista insieme a Vero (il preferito del pubblico), è un album personale e ricco di cultura, è un’enciclopedia del dettaglio, dello sfizio tecnico, della ricercatezza sonora e della raffinatezza lirica. Così come, a livello strumentale, questo CD è letteralmente strepitoso, guidato dai fuoriclasse 2ndRoof e integrato da una batteria di beatmaker fuoriclasse, le sue parole sono davvero quelle più efficaci per raccontare, nel modo più ampio possibile, la figura di Guè Pequeno.
In una frase: Mr. Fini è davvero un Capolavoro con la C maiuscola, l’ennesimo Capitolo di una Carriera leggendaria, accompagnata da un’epica magica e straordinaria. In questo articolo proverò a raccontarvelo attraverso i testi, le barre, le parole: ciò che c’è di più personale in un’opera del genere.
L’amico degli amici
Il brano introduttivo di Mr. Fini consente di sviluppare una serie di ragionamenti relativi al CD, relativamente alla tracklist, alle barre e all’immaginario di Guè Pequeno.
Le sue intro, infatti, sono sempre state lontane dal canonico “approccio conscious”, in cui si spiega all’ascoltatore quale sarà il contenuto del disco. Da Dichiarazione a Hugh Guerfner, passando per Buisness, Pequeno e T’Apposto, le intro di Guè sono sempre dei banger, dei concentrati di tecnica e in alcuni casi (T’Apposto e Business) addirittura dei singoli scala-classifiche. Ovviamente L’amico degli amici non fa eccezione.
Quando si diceva che per comprendere questo disco bisogna aver familiarizzato con l’artista, si intendeva proprio questo: Guè Pequeno inizia il suo kolossal – uno dei lavori più importanti della sua carriera! – rappando che:
Lei lo prende sotto il tavolo seduto al risto’
quasi a irridere chi approccia gli album con le “intro conscious”, per poi continuare scagliando sul magistrale beat dei 2nd Roof barre infuocate ed esplosive. La sua tecnica, il suo modo di tenere il tempo, di cambiare flow e metriche, di ideare rime come:
Ho una bitch andalusa, famiglia collusa
Entrano con un mandato, scappo in sella a un Appaloosa
sono tutte caratteristiche che ridicolizzano e mortificano il modo di rappare del 95% dei suoi colleghi, per loro evidente inferiorità. L’amico degli amici è una prova di forza eseguita ed è anche un manifesto del Guè Pequeno spaccone e prepotente, attaccato ai soldi, al lusso, alle belle donne e che irride i colleghi come se paragonati a lui fossero formiche.
Tornando però ai ragionamenti che si possono sviluppare a proposito del pezzo, è facile notare come la tracklist sia piuttosto lineare e il disco parta in modo giocoso e disimpegnato, per poi presentare progressivamente – salvo episodi estemporanei come Medellin e Cyborg – canzoni sempre più personali e adulte, fino alla doppietta Stanza 106 e Ti Ricordi?, fra le più intime della sua intera carriera.
Se invece, si presta maggiore attenzione alle barre dell’intro, ci si accorge della, spesso sottovalutata, capacità del Guercio di stupire con una scrittura tecnicamente eccezionale, fra una citazione a un film o a un fatto storico, come:
Mi appello come sempre all’articolo quinto (Ah-ah?)
“Ovvero chi c’ha i soldi ha vinto” (Ahahah)
riferimento a un detto del banchiere italiano del ‘900 Enrico Cuccia, e un gioco di metrica, come:
Pussy grassa, Botero (Fat)
Mentre i rapper di oggi si fanno le botte di ero‘
Infine ciò che rende un brano del genere così affascinante: la capacità di trasportare l’ascoltatore in un affresco, in un quadro, in un film e in un libro. In L’amico degli amici Guè dipinge, è alla regia e scrive, orchestrando un racconto quasi epico, il cui risultato è quello di descriversi come un boss, una figura piena di contatti, di esperienze e capace di zittire i suoi oppositori con un singolo sguardo. Questo è L’amico degli amici.
Chico
Chico è uno dei brani più riusciti di Mr. Fini, che giova, da un lato, delle barre e dei flow raffinatissimi di Guè Pequeno e Luchè e, dall’altro, del superlativo ritornello di Rose Villain e del sontuoso beat di Sixpm, che fa incontrare chitarre, 808 e kick dal suono profondo e morbido.
La profonda sintonia fra i due rapper che prendono parte alla traccia non è una novità: Guè è stato ospite degli ultimi due CD di Luchè, Malammore e Potere, e quest’ultimo ha ricambiato il favore negli ultimi tre del milanese, Gentleman, Sinatra e ora Mr. Fini. I due hanno realizzato insieme qualsiasi tipo di pezzo, dalla dimostrazione di tecnica e flow Modalità Aereo a brani d’amore passionale e fisico come Lv & Balmain e Oro Giallo.
Chico è un pezzo diverso, realizzato con evidente spontaneità e assenza di “studio a tavolino”, in cui ritornello e strofe appaiono slegate, ma sono di qualità talmente alta da soddisfare qualsiasi tipo di ascoltatore.
Guè, per esempio, apre la prima strofa con una quartina che – anche questa – è una sorta di suo manifesto:
Se stanotte muoio in questa suite
Dite a Universal di far uscir le mie nuove hit
Cosicché i miei gangsta possano pomparle nelle Jeep
E alla festa al club facciano ballare tutte le bitch, yeah
perché, come ha specificato spesso nella comunicazione del CD, il suo rap nasce per esaltare “i suoi gangsta” e per “far ballare le bitches“, oltre che per entusiasmare pubblico e critica con testi brillanti e ricchi di pathos. Nella stessa quartina, lancia punchlines di livello come:
Ti avvolgono di riso, ahahah, come un nigiri
Sono come un regista, lei vuole che la giri
immediate e divertenti, e una barre glaciale che umilia i “finti gangster” del rap italiano, “conosco i veri Tony, conosco i veri Sosa“. Quest’ultimo verso, inoltre, è una citazione al film Scarface, un riferimento costante della carriera di Guè (gli aveva dedicato una canzone intera in Santeria), a cui si collega anche il ritornello di Rose, nato dopo un capodanno passato con l’attore protagonista, Al Pacino, che con la sua personalità aveva fortemente ispirato la cantante.
Nell’ultima quartina, che arriva dopo la solita strofa killer di Luché, il Guercio spiega la sua poetica aggressiva e spaccona, raccontando:
Ho fatto un bel miscuglio, è tutta ‘sta Don Julio
Mi fa sentire Giulio Cesare, vai in pasto ai bulldog
In seguito a una bevuta di tequila, dunque, l’artista è talmente su di giri da sentirsi Giulio Cesare, il suo senso del potere è talmente amplificato da sentirsi quasi un supereroe, in grado di mandare i colleghi “in pasto ai bulldog”. È il classico Guè Pequeno che non ha paura di niente: si capisce immediatamente che questa prima parte del disco metterà in mostra la sua anima più arrogante e auto-celebrativa, notissima ai fan del rap italiano e, come sempre, entusiasmante.
Il Tipo
Molti opinionisti hanno definito Il Tipo uno “straordinario storytelling“, ma pur essendo effettivamente una traccia straordinaria, non si tratta effettivamente di uno storytelling, ma al massimo di un “phototelling“. Il Tipo non racconta una storia, al contrario di storytelling canonici come La Via Di Carlito di Marracash o la stessa La Malaeducazione di Guè, ma scatta una foto, inquadra un personaggio, descrive una figura e questo lo rende un brano atipico e dalla scrittura estremamente peculiare.
L’artista, infatti, sembra parlare in terza persona di se stesso – espediente letterario inaugurato proprio dal Giulio Cesare citato in Chico – descrivendo azioni della sua vita quotidiana come se fosse il protagonista di un romanzo o di un film. Il Tipo, nel corso della canzone, non è il soggetto di una narrazione, ma di una rappresentazione: il Guercio presenta un personaggio dal fascino magnetico, da “divo”, dice che “morirà da mito”, quasi un alieno perché “forse il tipo è un marziano”… Il Tipo conta soldi e li spende, si copre di vestiti di brand di lusso, organizza feste, fa l’amore ed è rispettato da tutti, come è raccontato in primis nel ritornello di enorme impatto descrittivo:
Quando entra quel tipo, tutti dicono: “È il tipo”
La gente qua si chiede dove abita il tipo
È vero che il tipo ha un equipo?
Che ha smaltito vari chili come la lipo’?
Festeggiamo con due lesbo a Lisbo o a Cipro
Si chiedono: “Ma quanto spende il tipo? Un cifro!
Il tipo è un divo, lui morirà da mito
Anche se l’hai capito, tu non fare mai il nome del tipo
Il brano funziona perché corrisponde perfettamente a un identikit – ovviamente parziale – di Guè Pequeno: se si vuole fotografare la sua anima più arrogante e “da boss”, quella venuta fuori in queste prime tre tracce di Mr. Fini, è la canzone perfetta per farlo. In poche parole, grazie al solito raffinatissimo lavoro dei 2ndRoof (qui alle prese con un campione di L’Ultimo Bacio di Carmen Consoli) e della penna del cantante, per cui già alla terza traccia sono finiti gli aggettivi, Il Tipo è già, senza se e senza ma, un masterpiece della discografia di Guè Pequeno e, ovviamente, di questo CD.
Saigon
Saigon apre la tripletta di canzoni d’amore di Mr. Fini, a cui si aggregano 25H e Parte di me, ed è anche il primo singolo ufficiale estratto dal disco. Guè Pequeno è sempre stato un brillantissimo autore di brani d’amore, da Tornerò da re a 2%, passando per le perle contenute in Vero e Gentleman, per Brivido, Rose Nere e adesso la tripletta del nuovo disco.
La finissima abilità del Guercio di raccontare l’amore con la sua penna è sempre stata, per certi versi, quasi un paradosso; Guè Pequeno è il playboy festaiolo e disimpegnato, quello che in Scarafaggio cantava:
Le metto il c***o così a fondo che le arrivo al cuore
ma allo stesso tempo riesce a raccontare i suoi sentimenti romantici con una cura del dettaglio e con una forza espressiva e passionale che pochi riescono a raggiungere. Le chiavi di volta della “love song” di Guè sono la spontaneità e la varietà delle sue soluzioni liriche: è capace di scrivere brani solenni come Brivido tanto quanto pezzi più leggeri come Trentuno Giorni, in cui augura alla donna che gli ha spezzato il cuore:
Che ti cade l’iphone nella vasca
Che all’aeroporto scordi il fumo in tasca
Saigon, infatti, è un po’ Brivido e un po’ Trentuno Giorni: è un brano dai toni impostati e a tratti drammatici, nel cui ritornello Guè paragona le storie d’amore, meravigliose ma effimere, ai fiori di ciliegio, ma è anche una canzone in cui vengono citati il brand di orologi Rolex, la gintoneria di Davide La Cerenza e il film Carlito’s Way, non certo elementi di un canonico brano sentimentale. Questa è la spontaneità di cui si parlava prima: Guè Pequeno nelle sue canzoni fa esattamente quello che gli viene più naturale in quel momento ed è l’unico artista che riesce, subito dopo un ritornello così grave e tragico, a inserire una quartina come:
Per te io sarei uscito solo nel weekend (Yeah-yeah)
Per te io sarei uscito pure dalle gang (Yeah-yeah)
Per te io parlerei forbito senza slang (Yeah-yeah)
Ma spacco troppo, sai, per essere innocente (Ah)
tanto arrogante e spaccona quanto effettivamente d’impatto. È il “gangsta love” citato in Guersace, la poetica di Guè Pequeno, che riesce a far convivere alberi di ciliegio e locali di vita notturna milanese nello stesso quadro, all’interno della stessa cornice.
25 Ore
Con 25 Ore prosegue il filone romantico di Mr. Fini, nonostante questa sia una traccia profondamente diversa da Saigon: è un pezzo più allegro, leggero e scanzonato. Prodotta da Shablo, racconta una storia d’amore di una settimana, dal primo incontro del lunedì all’approccio del mercoledì, fino al weekend, durante cui i due hanno “fatto sempre busy busy, chilling chilling, easy easy”!
In particolare, il ritornello del brano, che contiene il verso appena citato, è una citazione a quello di 7 Dayz di Craig David:
I met this girl on Monday
Took her for a drink on Tuesday
We were making love by Wednesday
And on Thursday and Friday and Saturday
We chilled on Sunday
ed è stata una scelta estremamente funzionale, perché trasmette tutta la spensieratezza di cui la canzone aveva bisogno.
Anche in 25 Ore, tuttavia, c’è spazio per una seconda strofa con tre versi introspettivi e scuri, a tratti quasi gotici:
Tu sai che dietro il mio sorriso si nascondono le lacrime
Io so che tu lo sai che dietro questi corpi scopriremo poi le anime
Tu mi vedi arrogante, ma nascondo la paura
in cui Guè inizia a mostrare al pubblico la sua anima più malinconica e profonda. In Saigon, infatti, l’artista tratta il tema della caducità del tempo, e in 25 Ore accenna a una rottura della sua corazza arrogante, dietro cui si nasconde la paura, altra tematica piuttosto ricorrente nel CD. Il disco sta evidentemente cambiando direzione: Mr. Fini, salvo episodi isolati come Medellin e Cyborg, da qui in poi inizia a trasformarsi in un disco di contenuti e di emozioni, non più di ego-trip.
Parte di me
Parte di me è il brano che chiude la tripletta sentimentale di Mr. Fini ed è stato piuttosto criticato da alcuni opinionisti per la sua leggerezza (in particolare per quanto riguarda la strofa di Carl Brave). In realtà, il brano funziona piuttosto bene: è allegro, spensierato e ospita una performance di livello del cantante romano, che nelle collaborazioni con Guè riesce a recuperare un’esaltante anima grezza e scura assente nei suoi pezzi solisti. Inoltre, questo pezzo contiene il primo e unico “rimo da quando” del Guercio del CD:
Rimo da quando hanno ucciso Versace
e, a dir la verità, anche il testo della canzone è di qualità. La strofa di Guè è cinematografica e fatta di immagini: dalle banconote che cadono in slow motion alle sue lacrime miste alla pioggia, passando per le mille mani che gli “accendono il fuoco” come nella copertina di Vero, a cui Mr. Fini è stato spesso accostato dall’autore.
Il ritornello, invece, è basato sull’espressione “non puoi togliere” e sull’accostamento fra elementi naturali come acqua/mare, fuoco/sole, vento/cielo, fino a te/mio cuore:
Non puoi togliere l’acqua dal mare
Non puoi togliere il fuoco dal sole
Non puoi togliere il vento dal cielo
Non puoi togliere te dal mio cuore
Qualche addetto ai lavori ha trovato un po’ forzata la dolcezza (e la leggerezza) del ritornello di Parte di me, ma in realtà versi del genere non sono affatto una novità per la discografia del Guercio. È il solito discorso sulla complessità della sua personalità: Guè è, sì, quello spaccone di Business e Lamborghini, ma è anche l’autore di versi smielati come:
Vorrei smettere di essere dipendente da quelle sei lettere
Che formano il tuo nome perché mi fanno male
Ma sai la botta che mi sale
in Non ci sei tu, quindi non bisogna stupirsi che in Mr. Fini convivano la “sofisticata ignoranza” di Cyborg e la poesia romantica di Parte di me.
Immortale
La settima traccia di Mr. Fini, Immortale, è un punto di svolta decisivo per lo sviluppo del disco: racconta i temi, assolutamente centrali, del rapporto dell’artista con la morte e con lo scorrere inesorabile del tempo. La traccia ha un’atmosfera teatrale e drammatica: è impostata come se fosse una lettera, un SMS o addirittura un messaggio in segreteria telefonica per una donna, a cui Guè riesce a confessare ciò che lo spaventa di più in assoluto, il pensiero costante che la sua vita dovrà prima o poi terminare:
Sono messo male, mi spiace scriverti a quest’ora
Ma, sai, ‘sta merda mi divora, spero che il tipo non ti scopra
Mentre dorme a fianco a te e sente vibrare il cell
Lo struggente ritornello di Sfera Ebbasta sembra in qualche modo trovare un senso all’esistenza, individuandolo nell’immortalità dell’arte e della musica, ma Guè, nella prima strofa, ammette che né questa né qualsiasi altra convinzione riesce a rasserenarlo:
La morte mi ossessiona e che il mio corpo muoia
E che l’anima viva, lo sai, non mi consola
Il verso centrale della canzone, tuttavia, è contenuto nella seconda strofa ed è:
Non accendi i tempi bui, io ripenso ai vecchi tempi
Senza lingue di serpenti, ai miei cattivi esempi
Non gli ho mai detto bene: “Addio”, ed ora cerco il mio respiro
Questa generazione è persa, pensa se tenevamo il figlio
in cui Guè rivela di avere deciso, in un periodo non specificato, con la ragazza, di interrompere volontariamente la sua gravidanza, una notizia certamente inedita per gran parte del suo pubblico. Questo verso ha una forza espressiva clamorosa: piove sull’ascoltatore dopo un climax di barre sofferte e ricchissime di pathos, sputandogli in faccia una verità cruda e ricca di implicazioni.
Il Guercio non ha voluto figli perché non crede nella sua generazione, ma come sarebbe l’artista oggi, se fosse padre? È impossibile non porsi questa domanda, ma, soprattutto, è impossibile non pensare a quanto sia stato effettivamente scosso da questa scelta: un ulteriore decisione difficile, un ulteriore dubbio, un ulteriore situazione di difficoltà che ha travolto la vita dell’artista.
La certezza è che Guè non pubblicava un brano così personale e sincero da Eravamo Re, di Vero, una straordinaria canzone dedicata a suo padre e a una sua ex ragazza. È dunque chiaro che si è finalmente entrati nella parte più intima e profonda di Mr. Fini: da qui in poi il disco sarà una catarsi, un susseguirsi di confessioni e di pensieri nascosti del Guercio. È per canzoni come Immortale, infatti, (per la loro intensità, per la loro forza espressiva e per la loro incisività) che questo disco non può che essere considerato un autentico capolavoro.
Tardissimo
Tardissimo è stato, probabilmente, il pezzo più criticato di Mr. Fini: da un lato, perché con le sue sonorità aperte ed estive buca il velo di solennità e di “album per pochi” del CD e dall’altro perché le performance dei due ospiti sono state ampiamente messe in discussione. Si potrebbero svolgere dei ragionamenti sulle ultime strofe in featuring di Marracash, tendenzialmente sottotono rispetto ai suoi brani solisti, o su quanto un ritornello di Mahmood, di recente, tenda a fagocitare la canzone intera (è successo anche in Moonlight Popolare e in Karate).
Chi non si può mettere in discussione è Guè Pequeno, anche qui autore di una strofa magistrale, ricchissima di pathos e di emotività. In particolare, i versi conclusivi della sua parte, dimostrano la sua solita visione “cinematografica” della scrittura: proiettano l’ascoltatore in una scena cult di un film drammatico:
Per noi perché mi ero quasi freddato
Mi tenevi i palmi per calmarmi
Io per ringraziarti ho fregato (Seh)
Io che ho sempre negato
Inoltre, Tardissimo è una canzone “di non detto”:
Scusa se m’ispiro, se aspiro
E non sono tornato, ero in giro (Scusa)
Mi ero promesso di non dirlo mai in un testo (Mai)
Guè non parla in maniera esplicita, ma fornisce al pubblico più affezionato le chiavi della storia che sta raccontando, citando la canzone, di Gelida Estate EP, Maledetto, al verso:
Essere maledetto mi benedice
Da qui l’ascoltatore può farsi delle domande, ragionare, fare dei collegamenti e – perché no – ipotizzare che la ragazza protagonista di Maledetto sia la stessa di Tardissimo e la stessa di cui canterà più tardi in Stanza 106:
E questa bitch ancora che mi aspetta sull’altare (Ah)
È un classico della sua carriera: il Guercio non ha mai scritto una canzone-racconto di una sua vicenda personale, ma ha sempre inserito, fra un brano e l’altro, elementi, immagini e pensieri (il ricordo, com’è ormai chiaro, è un altro tema molto ricorrente in Mr. Fini) che solo insieme ricomponessero quegli avvenimenti, come piccole tessere di un mosaico.
Medellin
Dopo una serie di canzoni intense e dal contenuto piuttosto intimo, Mr. Fini passa a una fase di progressivo alleggerimento, sonoro e lirico, per far rilassare l’ascoltatore in attesa degli ultimi brani, che saranno in assoluto i più difficili e complessi da digerire.
Medellin è un esercizio di stile, in cui Guè è accompagnato dal rapper che più lo ricorda, come attitudine e sfrontatezza, Lazza. Si potrebbe discutere per ore e ore dell’identità dell’erede del Guercio: qualcuno farebbe il nome di Zzala, qualcuno indicherebbe Ernia, qualcun altro ancora sceglierebbe Sfera Ebbasta. Ognuno di questi artisti è stato certamente ispirato dalle barre del Guercio e, più in generale, dalla sua figura così unica e affascinante, ma Lazza è certamente il più vicino al lato auto-celebrativo e spaccone del l’ex-Dogo e, probabilmente, è il suo preferito fra i vari rapper di nuova generazione.
Recentemente, in un’intervista per Rolling Stone che ha suscitato polemiche su polemiche, Guè ha dichiarato, a proposito di Sfera (che è suo compagno di etichetta in BHMG):
Quando arrivi a cambiare il genere qualcosa vuol dire. Fare combo con artisti importanti che addirittura lo cercano è qualcosa che gli devi riconoscere. I primi mixtape e il primo album erano bellissimi poi è diventato – giustamente perché quello era il suo destino – un’icona pop e anche lì non sono più a target, cioè per me ora è troppo pop.
Un giudizio dolce, ma, tuttavia, neanche troppo velatamente critico nei confronti del Trap King, specie se confrontato con l’elogio smielato a Zzala:
Multi-talented. Lui è molto bravo nelle rime, fa i beat, suona il piano. Ed è già famoso. Deve dimostrare di poter diventare più universale. È bravissimo ma non ha completato il percorso.
Per Guè e Lazza Medellin è la terza collaborazione dopo Gucci Ski-Mask e Montenapo (ne arriverà una quarta, Moncler) ed è la terza dimostrazione di sintonia e ritmi sincronizzati. Se il Guercio, nella sua strofa, dà una lezione di “geometria applicata“:
Parto ad angolo retto, dopo qualche minuto
Faccia in giù, chiappe su ed è un angolo acuto
il rapper di 333 Mob risponde, mostrando la sua “profonda conoscenza” della lingua francese:
Ho fatto scuola in strada
E lingue a scuola, fra’
Però in francese so
Dire “Yves Saint Laurent”
Pure “Chanel” e “Dior”
Frate’, sto Louboutin
So pure “Givenchy”
“Voulez-vous coucher avec moi?”
scagliando sul beat magistrale di Low Kidd otto versi che potrebbero essere la definizione sul vocabolario di “spacconeria ignorante“. Soprattutto, queste rime potrebbero, senza difficoltà, essere state scritte dal Guè Pequeno 25enne che, più o meno all’età di Zzala, pubblicava il primo Fast Life Mixtape.
Tracce come Medellin sono dei missili terra-aria di qualità assoluta, ma come sottolinea giustamente il Guercio: “(Lazza) deve dimostrare di poter diventare più universale”; una traccia profonda e intima dei due, in un progetto futuro, sarebbe emozionante e metterebbe l’autore di Re Mida sui binari giusti per “completare il percorso”.
Cyborg
Nella tracklist di Mr. Fini, Medellin è seguita da un altro esercizio di stile, Cyborg, ancora in collaborazione con un pupillo del Guercio ma stavolta della scuola napoletana: Geolier. Guè ha da sempre una forte predilezione per la musica di Napoli e più in generale per gli emergenti partenopei, basti pensare che nella sua carriera ha già collaborato con Vale Lambo, MV Killa e, appunto, Geolier, oltre che con figure più d’esperienza come Gigi D’Alessio, Franco Ricciardi e Alessio.
Prodotta dall’albanese Rvchet, Cyborg è un brano dal ritornello ipnotico su cui Geolier scaglia una formidabile strofa in dialetto napoletano, mentre per Guè Pequeno è ordinaria amministrazione. La sua è infatti una delle più classiche strofe di “bosseggiamento“, ricca di flow mai banali e di barre al vetriolo come quelle conclusive:
Ti ho doppiato, sto dopato, oppiato come un cambogiano
Tu non sei un boss, frate’, tu spacci per un altro
Sì, ti spacci per un altro, antiproiettile, fa caldo
dense di incastri e con il fine doppio senso “spacciare per un altro / spacciarsi per un altro”.
Geolier, d’altro canto, risponde con una strofa che, se tradotta, è tanto estrema e “ignorante” quanto quella di Zzala in Medellin, in cui racconta di una ragazza che, per essere “conquistata”, desiderava una maglietta Dsquared: il rapper gliene aveva portate quattro, per poi fermarla perché gli faceva pena e lasciarla a piedi, dopo essersene andato dall’hotel. Anche in questo caso, il racconto potrebbe appartenere tranquillamente alla vita del Guercio… Viene da chiedersi: quanti rapper delle nuove generazioni avrebbero iniziato a fare musica se Guè Pequeno non li avesse ispirati con le loro rime? Probabilmente, senza le sue rime e i suoi CD, oggi il rap italiano non avrebbe lo stesso ruolo e non sarebbe, come molti dicono, il “nuovo pop”.
Giacomo
Giacomo è il vero storytelling di Mr. Fini e va detto che, al contrario di quanto molti credono, Guè Pequeno è sempre stato, nella sua carriera, un fine storyteller: basti pensare a episodi come Confessioni di una banconota di Vile Denaro, La Malaeducazione di Gentleman o Quasi Amici di Santeria con Marracash, splendide storie raccontate da una penna cinematografica ed esperta.
Inoltre, come lo stesso Guercio ha rivelato, Giacomo è una citazione alla leggenda del rap francese Booba e al suo brano Jimmy, nonostante il rapper milanese, nel ritornello, tenga a specificare che “questa è una storia italiana” – scelta che conferisce autenticità e realismo allo storytelling – e a rimarcare il concetto inserendo un riferimento all’Old Fashion di Milano:
Dagli ultimi posti sopra quel metrò
Ora è all’Old Fashion che fa il tavolo
Anche in questo pezzo è presente un featuring: il rapper di Barona Young Rame, per cui Guè ha sempre speso parole al miele ma che sembra non essere ancora riuscito ad effettuare un vero e proprio salto di qualità. La certezza è che, nonostante qualche commentatore abbia criticato Rame per ragioni poco chiare, in Giacomo la sua performance sia stata di livello altissimo: il suo modo di rappare si sposa perfettamente con il tappeto musicale “da favela” steso da AriBeatz.
La canzone racconta l’ascesa e la conseguente discesa di Giacomo, ragazzo di periferia alla ricerca di una svolta economica da raggiungere attraverso lo spaccio di cocaina. Nella prima strofa, Rame introduce il protagonista della storia, descrivendolo con un immaginario ben noto ai suoi ascoltatori (sembrano quasi le stesse parole con cui si descrive nei pezzi autocelebrativi):
Sotto i palazzi hanno fame, hanno fretta
Dentro la felpa tiene la Beretta
Numero 7 sopra la maglietta
È il capitano di questa piazzetta
Vuole il mondo, chico, come Tony Montana
mentre Guè nella sua sedici-barre ne racconta ascesa e rapida discesa, che culmina con il suo arresto. Il verso chiave del pezzo, probabilmente, è:
Ora sa il prezzo di tutto
Ma il valore, no, di niente
del Guercio nella seconda strofa, che gioca sulla brillante contrapposizione prezzo/valore e trasmette un messaggio positivo ed educativo agli ascoltatori.
In conclusione, Giacomo è, oltre che una piccola perla a livello sonoro, una grande canzone perché propone una storia certamente non originale (dalla prima rima si capisce perfettamente dove andrà a parare lo storytelling), ma raccontata in modo talmente affascinante e appassionante da non risultare noiosa o stucchevole. È, anzi, un pezzo fresco e paradossalmente leggero, che non appesantisce Mr. Fini, ma lo integra con una formula lirica – lo storytelling – che, fin qui, mancava alla sua tracklist.
Dem Fake
Come molti sapranno, la dancehall è uno dei generi musicali preferiti di Guè Pequeno, come ha spesso dichiarato in svariate interviste e su Instagram. Per chi non conoscesse questo tipo di musica: la dancehall è un sotto-genere del raggae, più leggero, le cui tematiche non sono politico-sociali, ma relative alla danza, al divertimento e alla sessualità.
Dem Fake è un pezzo dalle sonorità prettamente dancehall, il cui featuring – il preferito di Guè in Mr. Fini – è la superstar mondiale di questo genere, Alborosie, un artista di straordinaria caratura musicale e umana. Su queste sonorità così particolari, Guè sceglie di realizzare una strofa da dieci e lode, in cui bersaglia il “rapper medio della nuova generazione”, descrivendolo come una grottesca caricatura, ridicolizzandolo e dimostrando implicitamente la sua superiorità artistica.
Il Guercio approccia il pezzo con una massima che da sola basterebbe a far crollare gran parte dei “trapper” italiani, che si atteggiano da criminali vissuti e da finti boss:
Non ho mai visto un OG
Che si mette in posa e posta sopra IG
In questo caso il “non ho mai visto” spiega all’ascoltatore che Guè Pequeno conosce e ha osservato con i suoi occhi i veri OG: assicura verità e credibilità ai versi, rendendoli due lame affilate e graffianti, che colpiscono e smascherano i suddetti rapper.
Il verso immediatamente successivo, sembra dedicato a Ghali, in quanto perfettamente coerente con le sue dichiarazioni pre-album: in entrambi i casi il Guercio ha fatto esplicito riferimento alla tendenza dei colleghi di vestire con accessori femminili. Certo è che una dichiarazione come:
Quindi il mio giudizio su Ghali era riferito a questo: un artista che va in giro vestito da confetto può andare bene per una sfilata ma non ha grande credibilità di strada.
(dall’intervista di Rolling Stone Italia) lascia assolutamente il tempo che trova, in quanto frecciata gratuita e priva di spunti davvero interessanti, mentre un verso come:
Con quei orecchini sembri la mia girlfriend
contestualizzato all’interno di una canzone rap, è una provocazione divertente e che centra il bersaglio, senza uscire dal rap-game.
Merita una menzione anche la chiusura di strofa, il bridge:
Non diventi un gangsta se ti metti Dior
Né se prendi lo Xan, il jeans mi sembra un fuseaux
Uno per i soldi, frate’, due per lo show
Prima delle Balenciaga, penserei bene al flow
con il primo verso a rimarcare la netta distanza che c’è, secondo Guè, fra mondo-street e mondo-fashion. Nella seconda, pungente barra, invece, aggiunge che non è neanche il consumo di Xanax a dare credibilità all’artista, per poi ironizzare sugli skinny jeans di molti colleghi. Con l’ultimo verso, invece, traccia un’ulteriore linea, stavolta fra musica e mondo-fashion.
Prima delle Balenciaga penserei bene al flow
è una presa di posizione, una dichiarazione d’amore nei confronti del rap, un tentativo epico di difendere la cultura hip hop da chi non ne coglie la complessità e vuole banalizzarla riassumendola in un paio di sneakers. Dem Fake dimostra, in un modo bizzarro e particolare, il sincero sentimento romantico che lega Guè Pequeno al rap: è quasi un manuale d’istruzioni per i nuovi rapper e, detto francamente, molti di loro beneficerebbero senza nessun dubbio dei suoi colleghi.
Mercy on me (in sbatti)
Mercy On Me (In Sbatti) è una canzone particolarissima, prodotta da un geniale Night Skinny a partire dal sample di Put That on Everything della cantante R&B di Brandy, e oltre a questo è il pezzo preferito di Guè Pequeno, fra tutti quelli di Mr. Fini. È un brano dal tono agrodolce, malinconico ma rilassante, dal suono ipnotico ma dal testo tagliente e direttissimo, che urla al pubblico la sofferenza del rapper, a partire dalla prima strofa:
Mentre fumo ’sto personale
Penso alla mia carriera assurda, più che decennale
È inversamente proporzionale
Al disastro della vita personale
I versi dall’impatto più forte, tuttavia, sono certamente:
Pensavo la droga fosse la mia rovina
Invece lo è indubbiamente la figa
che possono sembrare grezzi ma rappresentano semplicemente il modo più diretto di colpire l’orecchio dell’ascoltatore; sono versi che, a canzone finita, resteranno impressi nella sua mente.
La seconda strofa, invece, dal tono “annoiato e assente”, è una carrellata di immagini estremamente cinematografiche, che raccontano la vita di vizi e piaceri del Guercio, dalla scena che lo vede imboccato da una donna al ristorante all’incontro con un certo Alfredo in un club segreto.
L’ultima parte di brano da affrontare è, in conclusione, il meraviglioso ritornello:
Tu puoi salvarmi, baby
Ma nessuno avrà mercy on me
Ora è già tardi, baby
Non ti troverò in un bicchiere
Tutti i miei sbagli, baby
Mi fanno sentire triste, sì
Tutti i messaggi, baby
Non bastano a stare together
dal tono estremamente sconsolato e disilluso, se non addirittura arreso a una vita amara e di sofferenze. In realtà, effettivamente, questo è il classico pezzo in cui non parlano tanto le parole quanto il flow, rilassato e scorrevole, perfetto per la magica strumentale di Skinny.
Mercy On Me è un pezzo decisivo per Mr. Fini: rende chiara al pubblico – qualora ancora non lo fosse – la vena grigia, malinconica e penosa di Guè Pequeno, senza cui non riuscirebbe a essere così emotivo e sensibile.
No Security
Con No Security si ritorna a commentare barre serrate, da pugile e da numero uno: rime al servizio di un banger in collaborazione di un “king dei balcani”, l’MC albanese Noizy, con cui il Guercio aveva già duettato in Colpo Grosso, in cui si alternavano a Snik e Capo Plaza. Come in quel pezzo, la produzione, dalla melodia ipnotica e dai “kick-martello”, è curata dai 2ndRoof, autori – va ripetuto ancora una volta! – di un lavoro eccellente per quanto riguarda l’intero Mr. Fini.
Lei vuole fumare wax
Lei te la dà solamente sopra una G-Class
Ma giuro sono andato a prenderla con il TMAX (Lo giuro) e non ha detto: “Ah”
No, frate’, ha detto: “Aah”, io per la street ho il pass
sono le barre che aprono la strofa di Guè, tutte quasi tutte chiuse in “ax/ass”, che descrivono l’incontro fra l’artista e una ragazza. Quest’ultima è solita concedersi solo in una Mercedes di lusso, ma quando il rapper viene a prenderla con il TMAX non lo respinge, bensì è quasi intrigata dalla sua scelta. Questo loro incontro è raccontato magistralmente dal Guercio con il gioco di parole:
non ha detto “ah” / frate ha detto “aah”
a cui segue un verso centrale per la sua carriera:
Primo italiano su una Bentley che rappa di conti correnti
che rivendica una capacità che gli è sempre stata riconosciuta: saper anticipare la moda, saper aggiungere degli elementi alla sua musica con 5-10 anni d’anticipo rispetto agli altri rapper, per poi vederli omologarsi a lui negli anni successivi.
Ti levo le collane
Ti levo le collane è un altro banger dalla strumentale sinistra e al contempo solenne, curata dai soliti grandiosi 2ndRoof, su cui il Guercio surfa con le sue barre violentissime e pungenti, stavolta accompagnato da un rookie, Paky, che approccia il beat con cattiveria, grinta e tenacia, in modo quasi brutale, convincendo tutti con una bella strofa.
La strofa di Guè Pequeno non è, al contrario di Medellin, Cyborg e No Security, una strofa “di bosseggiamento”, ma piuttosto una strofa “di gerarchia”. Come si è visto a più riprese nei brani del CD – si pensi a L’amico degli amici o a Dem Fake – Mr. Fini non è solo un confessionale di Guè Pequeno, ma è anche un disco-dichiarazione d’amore al rap e quindi nato per combattere le tendenze che, secondo l’autore, sporcano questo genere musicale. Rime come:
Pussy grassa, Botero (Fat)
Mentre i rapper di oggi si fanno le botte di ero’
oppure:
Uno per i soldi, frate’, due per lo show
Prima delle Balenciaga, penserei bene al flow
nascono per quest’esigenza, schiacciare e affossare chi è nella scena senza meritarlo. In Mr. Fini Guè Pequeno, quando deve aggredire i “fake rapper” è spietato, come se mosso da un senso dell’onore e di appartenenza all’hip-hop, ma sceglie sempre di colpire dall’alto, evidenziando la propria superiorità di veterano. In Ti levo le collane rappa:
Oggi non conta farlo, ma farlo vedere in foto
’20 anno del ratto, per questo farai il botto
criticando al contempo il sistema-Social e i finti-gangster che, poi, sono i primi a rivolgersi alle autorità quando finiscono nei guai. Nei versi successivi, il Guercio continua a deridere i colleghi, prima esibendo la sua natura di playboy (un suo classico):
Oh, mio Dio, vi abbasso l’autostima
Perché le fighe di voi rapper le ho schiacciate tutte io prima
e poi sottolineando la loro ipocrisia:
Hip-hop ita è ipocrita, la mia puttana è tropical
La mia parola è ipnotica, piscio sulla retorica
Le stories senza audio, i discorsi fanno brutto
Infine, come in molte canzoni del CD è capitato, anche Ti levo le collane ha un verso chiave, il primo del ritornello:
Ti leviamo le collane, scemo, senza cosa ti rimane?
Nada, scemo, cosa devi fare?
con esplicita la sua sentenza: il rapper italiano medio non è nulla senza le sue collane, a livello economico, perché sono le uniche cose che possiede, e anche a livello di carisma, visto che il suo personaggio si regge sull’ostentare gioielli.
In ogni caso, Ti levo le collane è l’ultimo atto della crociata del Guercio contro i fake rapper italiani. Le ultime due canzoni del disco, Stanza 106 e Ti Ricordi? che rappresentano la catarsi definitiva di Mr. Fini e di Guè Pequeno, sono gli episodi più intensi dell’intero CD ed entrano di diritto nella top 10 all-time della carriera dell’autore. Occorre prepararsi emotivamente a questi prossimi brani, perché le loro parole sono taglienti come coltelli e Guè Pequeno svela all’ascoltatore riflessioni e pensieri che ancora non si erano ancora mai visti in vent’anni di carriera.
Stanza 106
Durante un’intervista per Vogue, è stato chiesto a Guè se Mr. Fini fosse considerabile un “concept album” e il rapper ha risposto:
Assolutamente no, è molto più elastico, però la parabola dell’antieroe c’è eccome: infatti si apre con dei pezzi molto swag e, man mano che prosegue, s’incupisce fino a chiudersi con l’introspezione più buia.
Effettivamente, canzone dopo canzone, la penna del Guercio diventa più matura, più coinvolgente e, dal suo punto di vista, liberatoria e catartica. Stanza 106, penultima traccia del CD, è un brano di un’intensità devastante ed esplosiva, il cui ritornello evidenzia un Guè sofferente e ferito, tormentato da demoni che non riesce a scacciare:
106 (106), la mia stanza (La mia stanza)
Vieni adesso (Vieni adesso), vieni adesso, por favor
Sono messo (Sono messo) con la vodka (Con la vodka)
E il Lexo’ (E il Lexo’)
Anche perché piove troppo spesso (Spesso, yeah-yeah, yeah)
Ho contatti sporchi nel mio cellphone (Cellphone, yeah-yeah, yeah)
Mi sento come se ho sempre perso (Perso)
Prego per i soldi, droga e sesso (Droga e sesso)
Per i soldi, droga e sesso (Droga e sesso)
Per i soldi, droga e sesso
La Stanza 106 è, storicamente, quella dell’Hotel Londra Palace, in cui Tchaikovsky compose i primi tre movimenti della Sinfonia, ispirato da un’energia magica e improvvisa. Per Guè, invece, è la stanza della disperazione: è in albergo e invita una ragazza a raggiungerlo per salvarlo da una sbronza di vodka mischiata a Lexotan, arrivata dopo un attacco improvviso di depressione straziante e fortissima. L’artista urla:
Mi sento come se ho sempre perso
e invoca “soldi, droga e sesso”, un trinomio centrale per la sua personalità e per la sua discografia, che spesso ha esaltato con il suo immaginario auto-celebrativo, ma non in questo brano. In questo brano “soldi, droga e sesso” sembrano quasi una condanna per Guè, un qualcosa di difficile da gestire e che lo rende addirittura infelice.
La prima strofa di Stanza 106, infatti, racconta, con una brillante sequenza numerica che va da uno a dieci, i lati negativi dello stile di vita del rapper, fra “un cervello ed un cazzo in competizione”, soldi “sputtanati”, la costante necessità di medicinali, la paura di morire (“se fosse questo l’ultimo party”?), amici incarcerati che devono scontare anni e minacce di morte.
L’ultimo verso della strofa, poi, chiude il “conto fino a dieci”, ricollegandosi al tema della morte, la grande paura di Guè Pequeno, la cui influenza si percepiva anche in Saigon e Immortale. Vanno sottolineate e lodate la classe e la cura del dettaglio del rapper, la cui strofa conta davvero tutti i numeri da uno a dieci:
Ho un cervello ed un cazzo in competizione
Una parola sola riguardo a cose e persone (Solo una)
Tutto ciò è riferito a fatti reali (Ah-ah)
Ho due gambe, due palle, tre pali (Uff)
Sputtanati ai quattro venti in droghe, donne ed affari
Cinque plug in vari fusi orari, anche a Bali (Yeah)
Sei medicamenti presi a tutti gli orari (Damn)
Sette vite se fosse questo l’ultimo party (Eh?)
Otto tipe Erasmus mi regalano orgasmi (Ah)
Piango, scrivo a Mauri, gli mancano otto anni
Nove minacce di morte, ho brutte nuove alle porte
Sto contando fino a dieci prima che sia sempre notte
La seconda, al contrario, è una strofa che in un certo senso scaccia il dolore e la paura, in cui il Guercio si prende delle responsabilità. I versi iniziali sono:
Vivi così, muori così, mi spiace, non mi scuso
Per tutto ‘sto abuso almeno ho vissuto
e accettano tutte le difficoltà raccontate nella prima strofa in nome di una vita vissuta al cento per cento delle esperienze e dell’intensità. Subito dopo chiarisce:
Non voglio sentirmi migliore, qua non c’è il confessionale
e cita la donna di cui si è parlato nell’analisi di Tardissimo:
E questa bitch ancora che mi aspetta sull’altare
con cui avrebbe dovuto sposarsi e che avrebbe sicuramente cambiato in modo definitivo e radicale la sua vita, ma che ha lasciato, appunto, sull’altare ad aspettarlo.
In questi ultimi due brani del CD, inoltre, entra in gioco una figura – quasi un’ombra – che introduce nuove tematiche: su tutte il ricordo e l’eredità. Questa figura è quella del padre dell’artista, il giornalista Marco Fini, citato effettivamente per la prima volta dalla sua scomparsa (il:
Quando mio padre se ne è andato, ho sofferto
Ho pensato a tutto il tempo e tutti i soldi che ho perso (Uff)
Sarei morto anch’io finito il mio successo (Oh)
in Maledetto era piuttosto un espediente per raccontare la paura della morte).
In Stanza 106, Guè rappa:
Se Dio mi richiamerà a sé durante il sonno
Raggiungerò mio padre e gli dirò che è stato stronzo
Ma se non muoio, mi appariranno le strofe in sogno
giocando ancora una volta sul “non detto” e restando vago, ma lasciando trasparire una mancata riconciliazione che lo opprime e lo tormenta. L’ultimo verso della tripletta, però, suggerisce un lieto fine che effettivamente arriva nel finale di strofa:
Ogni barra che rappo si alza la barra del rispetto
Sto qua per raccontarlo, è la città, fra’, che mi ha scelto
una catarsi, una ragione di vita trovata nella musica, nel rap e nella responsabilità che ha Guè di essere egli stesso padre di una generazione e di una “città che lo ha scelto“. La catarsi è finalmente avvenuta e, con l’ultimo brano, Ti ricordi?, il Guercio può lasciarsi andare a un ricordo agrodolce, rivivendo momenti ed episodi della sua vita, chiarendo per l’ultima volta all’ascoltatore qual è la tematica chiave di Mr. Fini: lo scorrere del tempo.
Ti ricordi?
Ti ricordi? è l’ultimo atto del capolavoro di Mr. Fini e si ricollega al grande tema del disco, stavolta osservato da un punto di vista diverso, con un occhio nostalgico e maturo. Nella canzone, come da titolo, Guè racconta e rivive i suoi ricordi dolci ma amari – perché ormai persi per sempre – analizzandosi e riflettendo su come si è evoluto nel tempo il suo rapporto, per esempio, con le donne.
La quartina d’attacco, in particolare, è raffinata e significativa:
Non sono rilassato, passando dal metal detector
In petto lo sbirro vede il mio cuore, si è spezzato
E in testa frasi che io, sai, non ho mai pronunciato
Interesso a tipe a cui non sono proprio interessato
e mostra un Guè sofferente e disilluso, che poi continua, svelando che un fondo di tristezza si cela anche dietro al suo successo lavorativo:
Manco un amico disinteressato, la vendetta di un guercio
Non così gustosa, ora ho solo una bitch esosa ed un’auto costosa
Ancora, il Guercio racconta dei suoi sedici anni, esplorando finalmente i suoi ricordi:
Che fredda era Milano di gennaio a 16 anni
Quattro giorni, stessa felpa Tommy, nessuno pensava al roaming
Di legale c’era solo l’ora
Ed ammiravo chi faceva il nogra, anche vendendo droga
e dipingendosi in una Milano ghiacciata con una felpa di Tommy Hilfiger (la stessa della foto nel video caricato su Youtube). In quei momenti, pensava all’hip hop, di cui era già un grande appassionato, e sognava soldi e successo: nel pezzo confessa addirittura che ammirava chi si arricchiva con attività illegali.
Sbuffando narghilè, stanotte mi ha svelato che
Per ritrovare me devo perdere te
Ma te che dici che mi meriti, io sono troppo vero
Ti confesso di sudori freddi e tremiti
Ma l’ho sempre rifatto, non ho mai imparato la lezione
Con questi versi rientra in gioco la donna di Tardissimo e Stanza 106, che lo aspettava sull’altare e che Guè ha dovuto perdere per ritrovarsi, non riuscendo a mantenere un legame stabile con lei. Ammette di non avere mai imparato la lezione e di avere commesso gli stessi errori con le donne: su tutti l’essere “troppo vero” (la barra in questione cita esplicitamente il suo CD preferito della sua stessa discografica), troppo sincero, incapace di scendere a compromessi di qualsiasi tipo.
Nel ritornello di Ti ricordi?, invece, l’artista si lascia andare, si rilassa nella sua macchina, fuma e si abbandona al ricordo, alla riscoperta di tempi passati, quasi come se attraverso le nuvole di fumo riuscisse a vedere delle vecchie fotografie, fra una felpa Tommy e un’avventura romantica finita nel modo sbagliato:
Mi ricordo
Nel dubbio chiamai tutte “amore”
È un po’ piacevole il dolore
Ma forse ero felice
Adesso tiro lo schienale indietro, fumo e mi ricordo
Di chi vorrei ancora con me
Un brindisi per chi non c’è
Quest’anima che scuoto, scende un po’ di vuoto e di odio
Ma senza rancore, mi ricordo
Il primo verso della seconda strofa è una sentenza dura e pesante come un macigno:
Realizzi che non ti sei realizzato e che sei grande
È meglio farsi o farsi delle domande?
mentre il secondo propone una scelta fra due soluzioni al suo malessere, annegare la propria insoddisfazione in droghe e sostanze di vario genere o psico-analizzarsi e affrontare la propria psiche – sostanzialmente ciò che ha fatto Marracash in Persona – attraverso un percorso difficile e faticoso. In ogni caso, Guè non dà la sua risposta alla domanda, ma prosegue il suo flusso di coscienza, fino a trasportare l’ascoltatore in una nuova fotografia: l’artista è:
sballato ad Amsterdam, quasi cadevo nei canali
Vestito Karl Kani, mentre i Pitbull legati
Alla panchina, fra’, la sradicavano
E i graffiti giù in banchina raccontavano la city
Dopo quest’ultima quartina, tuttavia, torna in scena l’ombra del padre del rapper, anche stavolta descritto come una figura negativa e, in questo caso, violenta. Tuttavia, Guè sentenzia che non ha alcun diritto di giudicarlo, come d’altronde nessun altro: è un classico della sua poetica e della sua comunicazione.
Ai tempi in cui mio padre mi inseguiva in corridoio
Alla fine mi beccava e mi mandava K.O
A pensarci poi non era questo esempio di virtù
Ma non posso giudicarlo io, solo Gesù
Se solo Gesù, come rappa Guè in Ti ricordi?, può giudicare suo padre, allora, per coerenza, lo stesso Guercio non può essere giudicato da nessuno. È un ragionamento astuto e fine, ma soprattutto sincero: chi ha una conoscenza approfondita della discografia dell’ex-Dogo sa benissimo che non ha mai dato alcuna considerazione ai giudizi degli altri, che siano relativi alla sua musica, alla sua condotta morale o alle sue opinioni sulle più disparate tematiche.
Anche la chiusura di strofa, comunque, merita una riflessione, quantomeno per analizzare la meravigliosa metafora proposta dal Guercio:
Mamma, vorrei darti un bel finale alternativo
Davvero, vorrei darti il mondo per rubarti queste perle
Sai, ho toccato il fondo, non dell’oceano, ma di un bassofondo
E, sì, è pur sempre un fondo, e mi ricordo di ciascun tramonto
Ed i 1000 euro sul conto
Questi versi sono dedicati, in seconda persona, da Guè a sua madre, con cui si scusa per la sua vita così spericolata e a cui dedica questa straordinaria figura retorica: si paragona a un pescatore di perle che, nel tentativo di recuperarle ha toccato il fondo. Allo stesso modo, per inseguire ricchezza, fama, successo e donne (i suoi sogni, le sue perle), l’artista ha toccato spesso il fondo, psicologicamente e moralmente.
Dopo il secondo ritornello, infine, è presente un’outro dal gusto malinconico e scuro, ispirata a un passaggio del pezzo dancehall Memories di Beenie Man:
Siamo vivi ancora un’altra sera
Raccontiamo a chi non c’era
Grazie a chi lo sa, lo sa
Grazie a chi
l’ultimo atto di questo splendido capolavoro.
Mr. Fini è un progetto completo, variopinto, ricco di sfaccettature e tematiche, personale e sincero, musicalmente entusiasmante e pieno zeppo di citazioni e riferimenti ai più disparati generi. Mr. Fini è un viaggio nei pensieri e nelle riflessioni di una figura complessa e particolare, a tratti incomprensibile e controversa, ma certamente affascinante e fondamentale per il rap del nostro paese. Mr. Fini è un cult, è un disco che sarà ricordato come un capolavoro, un’opera massima, un ennesimo atto di una carriera fenomenale e per certi versi assurda, che a ogni album viene arricchita da elementi nuovi e inaspettati. Concludendo con una sola frase: Mr. Fini è un disco unico ed epico, da leggenda, perché Guè Pequeno, che lo si ammetta o meno, è a tutti gli effetti una leggenda del rap italiano.
Magari un giorno, un suo album potrebbe chiamarsi così: Leggenda, ma piuttosto che viaggiare con la fantasia e immaginare i progetti futuri del Guercio, oggi è importante godersi questo capolavoro, scoprirne curiosità e aneddoti, assaporare le sue strumentali, le sue barre, i suoi ritornelli e le sue atmosfere, così che, fra qualche anno, si potrà dire che Mr. Fini è davvero un classico senza tempo.
2 pensieri riguardo “Mr. Fini – Attraverso le rime del nuovo capolavoro di Guè Pequeno”