Abbiamo scritto a DJ Fede, per parlare del suo nuovo disco “Product of the 90’s”, uscito il 7 novembre, a cui hanno collaborato artisti come Esa, Gast, Inoki e Claver Gold.
Intervista a cura di Riccardo Musci
Riccardo: Ciao Federico! Da cosa nasce questa voglia di andare controcorrente, usando un sound old school, che richiama fortemente gli anni 90, piuttosto che le atmosfere tipiche del 2019?
DJ Fede: Per me non è andare contro corrente ma semplicemente seguire la corrente “musicale” che ho sempre seguito, quella del rap più classico, il cosiddetto “boom bap”, per intenderci. Sono rimasto fedele al suono che mi ha fatto innamorare di questo genere e non ho mai cercato di inseguire il trend del momento. Le atmosfere degli ultimi anni sono anche fighe, ma non mi appartengono e sarebbe una forzatura seguire un’onda fatta da ventenni che sono cresciuti con questi suoni e li sentono loro esattamente come per me lo sono i suoni della seconda metà degli anni 90 fino al 2000. Sicuramente, di questo momento musicale rimarrà qualcosa, anche solo per le dimensioni abnormi che discograficamente e mediaticamente parlando la trap ha sviluppato. Non a caso, la prima metà degli anni 90 è definita golden age, proprio perché è stato il momento d’oro del rap.
Riccardo: Il rap e le sue declinazioni moderne sono la musica più ascoltata in tutto il mondo, come vivi questa cosa?
DJ Fede: In generale è una cosa positiva. Il problema è il momento storico, che è privo di contenuti, culturalmente deprimente e in cui l’apparire a tutti i costi è il fine ultimo. Non è più importante saper fare qualcosa e quindi essere conosciuti perché si sa fare bene quella determinata cosa… Siamo arrivati a inseguire una fama fine a se stessa. Il rap, storicamente, ha sempre fotografato il momento che la società stava vivendo, quindi, questo vuoto pneumatico si riflette anche in gran parte della musica che viene proposta, questo è abbastanza avvilente. Speriamo che ci sia una ripresa dei contenuti, perché siamo al nichilismo più totale. Essendo cresciuto con dischi pregni di contenuti, faccio veramente fatica ad ascoltare questa musica. Sicuramente ha dei suoni molto adatti al club, e facendo il DJ devo che dire sul pubblico è molto efficace, infatti nei miei DJ Set suono molta trap italiana.
Riccardo: Si è perso un po’ il significato originale del fare hip hop?
DJ Fede: Assolutamente sì, si è persa un po’ la cultura, il piacere di andare a scoprire la storia, da dove arriva, il perché è nato. Credo che Faccio La Mia Cosa, il libro di Frankie Hi-NRG, uscito un po’ di mesi fa, possa essere uno spunto interessante per attirare anche qualche giovane a levarsi qualche curiosità sulle origini di ciò che ascolta oggi. Nessuno parla più delle varie discipline, si rappa e basta, ognuno un po’ come gli pare e un po’ come riesce. Ovviamente non è tutto da buttare, perché ci sono degli artisti interessanti come Quentin40, Capo Plaza e altri ancora.
Riccardo: È possibile rendere ‘appealing‘ suoni nati dalla golden age dell’hip hop ai nuovi ascoltatori?
DJ Fede: Credo di sì, credo che sia possibile, se le cose non vengono solo buttate sul mercato ma accompagnate e spiegate, sicuramente possono destare interesse. Il pubblico si può tranquillamente appassionare, ma bisogna contestualizzare e far capire perché si sta facendo quella determinata cosa, perché suona in quel modo e perché si sente l’esigenza di inserire un messaggio, a volte più leggero e a volte più profondo. Anche per non ascoltare sempre la stessa cosa… La musica va ascoltata tutta, di tutte le epoche e tutti i generi, solo così si può avere un’opinione completa.
Riccardo: Con che criterio sono stati scelti gli ospiti del tuo nuovo disco Product of the 90’s?
DJ Fede: Quando ho iniziato a fare l’album pensavo solo a fare un disco nuovo. Man mano che ho iniziato a confrontarmi con i rapper/trapper più giovani, che ho sempre inserito nei miei dischi accanto a quelli più vicini alla mia generazione, mi sono reso conto che il gap era veramente diventato troppo grande. Alcuni avevano scelto dei beat su cui, poi, non erano nemmeno in grado di rappare. Lì ho capito che, non avendo intenzione di cambiare il mio modo di produrre, visto che amo il suono per cui sono riconoscibile e a cui sono riconducibile, avrei cambiato direzione e sarei andato incontro chi quel suono lo ha vissuto, lo conosceva bene e lo sentiva suo tanto quanto lo sentivo mio. Ovviamente ci sono eccezioni, come per esempio Nardo Dee, giovane ma con ben chiaro cos’è l’hip hop. Gli artisti sono stati scelti tra le amicizie personali di lungo corso e la stima, per rapper come Claver Gold e Blo/B, che non conoscevo di persona ma che mi piace ascoltare quando ho voglia di sentire buona musica.
Riccardo: Abbiamo notato una somiglianza fra la raccolta di inediti One of the Best Yet dei Gangstarr e Le ultime occasioni. Che emozioni ti ha portato rendere omaggio a Primo Brown?
DJ Fede: Per me David è stato un grande artista, tra noi c’era un’amicizia e una collaborazione lavorativa che è durata anni, sia in studio che nei live. Il pezzo era già uscito in un mio disco e un mio “Best of”, ma ho deciso di riprenderlo in mano e riarrangiarlo completamente in una versione acustica perché il testo si prestava a questo tipo di interpretazione. Credo che questo omaggio a Primo Brown sia dovuto. Sicuramente, senza fare paragoni, Dj Premier è stato molto più fortunato di me perché aveva parecchio materiale inedito con cui ha potuto costruire un super progetto. Credo che con l’album dei Cor Veleno, Squarta sia riuscito a fare un lavoro altrettanto super… Ecco, quello sicuramente è più paragonabile ad un One of the Best Yet.
Riccardo: In Kafka, nel ritornello si evince di essere ‘vittime di metamorfosi’. Queste metamorfosi, possono essere applicate al rap? Le metamorfosi possono essere sia positive che negative: la metamorfosi della cultura (ammesso che ci sia ancora) è qualcosa di positivo?
DJ Fede: La metamorfosi può essere una cosa positiva se si cambia per migliorare, se lo si fa per peggiorare non va bene. La cultura non ha subito una metamorfosi, la cultura sta sparendo. Molti rapper della mia generazione e di quella subito successiva erano stimolanti anche grazie alle loro citazioni, ma le citazioni ci sono se c’è cultura, se si leggono libri e se si crea la curiosità nell’ascoltatore e lo stimolo a indagare sulla citazione di un autore, di un filosofo, di uno scrittore… Così si abbina l’intrattenimento all’educazione, come diceva KRS ONE.
Riccardo: Nonostante anche noi di Raphaolic ci rendiamo conto di una certa ‘superficialità’ come trend recente, pensiamo che album recenti come Persona di Marracash stiano davvero “difendendo l’onore” dell’hip hop italiano, cosa ne pensi?
DJ Fede: Marracash è il rapper che scrive meglio di tutti. Riesce a raccontarti una storia in 3 minuti, facendoti capire esattamente ciò che vuole dire e mantenendo l’argomento dall’inizio alla fine. Il suo disco è molto denso, molto introspettivo. Credo che molti, ascoltando le sue rime, possano sentirsi rappresentati da ciò che dice e condividere con lui emozioni simili. Credo che se ci fossero più dischi come Persona il pubblico stesso ne vorrebbe ancora di più. Io vorrei più dischi rap e meno pezzi che hanno una fruibilità tipo singolo dance. Chiaro che se altri artisti non fanno lavori simili, non si crea un filone da seguire e si perde un’occasione per avere più qualità nella musica.
Riccardo: Cosa potrebbe restituire alla cultura hip hop il suo valore originario in questo momento?
DJ Fede: Credo dei buoni dischi. Partendo da quelli, tutto il resto verrebbe naturale. Dischi come quello dei Colle, da una parte, e dall’altra quello di Marracash, possono essere presi a esempio per dimostrare che ci sono modi diversi di fare buon rap e si potrebbe accontentare un buon numero di ascoltatori tenendo alta la qualità e tenendo la soglia dell’attenzione nei confronti di quello che dice l’MC molto alta. Si può ripartire da qui!