Luchè – Merito e maturazione dell’autore di Potere

La carriera da solista di Luchè, iniziata nel 2012 con il suo ingresso in Roccia Music, ha seguito un percorso di crescita, che ha portato l’artista sulla vetta delle classifiche con il suo album Potere e con il suo ultimo singolo Stamm Fort. Nell’articolo saranno ripercorse le tappe fondamentali della sua storia, da L1 a Potere, passando per L2 e Malammore.

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Napoli, 5 gennaio 2017. L’intero Palapartenope è sold out per la prima data napoletana del Malammore Tour di Luchè, poiché la location prevista per la prima del tour si era rivelata troppo stretta già poche settimane dopo l’annuncio, per l’enorme richiesta di biglietti. Quella serata può essere considerata uno dei primissimi trofei per Luchè che davanti a circa 6000 paganti ha cantato per la prima volta il disco Malammore.

Quella serata, su Youtube e sui social, furono caricati moltissimi video di quella serata e si vede proprio dalla partecipazione del pubblico che finalmente Luca Imprudente si era ripreso Napoli. Infatti la carriera del “Re di Napoli” è molto lunga e consistente, anche prima del suo recente successo; carriera nata nel 1997, anno in cui fondò i Co’Sang insieme a Nto’. I due non sono stati i primi in assoluto a fare rap a Napoli o in napoletano, ma a differenze dei pionieri partenopeni del genere musicale, le loro liriche trattavano tematiche e realtà differenti: parlavano di droga, sconforto sociale e miseria; così che pian piano fecero breccia nei vari ghetti dell’hinterland napoletano, venendo esaltati da quei ragazzi per cui le immagini raccontate dal duo veramente scene quotidiane.

Il filone musicale del rap, negli anni 90, non si diffuse nella penisola in modo uniforme, ma in maniera frammentata, creando delle “macrozone” in alcune regioni o città, ognuna caratterizzata da un suono e da uno stile predominante. Da Bologna a Roma, passando per Milano, il tipo di rap cambiava e in Campania, dove si iniziò a rappare in dialetto, ciò comportava spesso il non essere compresi nè considerati dal resto d’Italia.

Infatti, nel 2012, dopo la realizzazione di due album ufficiali e un mixtape, proprio le scelte linguistiche rappresentarono una delle più grandi divergenze fra Luchè e Nto’, che comportò la fine dei Co’Sang, una separazione alquanto brusca, visto anche l’annuncio del loro terzo album per l’aprile dello stesso anno. La notizia arrivò direttamente dalla loro pagina Facebook; e proprio dal post emersero le differenti idee artistiche dell’ormai ex duo, che poteranno Luchè a pubblicare L1, il primo progetto da solista, già a metà giugno del 2012.

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L1 – L’inizio della carriera da solista:

L1 uscì il 19 giugno 2012 per Roccia Music, dopo che, nato il progetto dell’etichetta, Marracash fu lesto a prendere sotto la sua ala il rapper di Marianella. L’amicizia e la stima fra i due era già nota ai tempi dei Co’Sang e diede alla luce diverse collaborazioni fra il gruppo napoletano, Marracash e il suo collettivo, la Dogo Gang, come Nun me parlà ‘e strad presente in Vita Nova e Se la scelta fosse mia contenuta in Roccia Music.

Così in pochissimo tempo (a soli quattro mesi dallo scioglimento dei Co’Sang) Luchè ebbe la possibilità di tornare subito in scena, nel rap game, e far vedere di che stoffa era fatto, pubblicando un album da 12 tracce con diversi featuring di spessore come Emis Killa in Lo so che non mi ami, i Club Dogo in On Fire e come lo stesso Marracash in Rockstar. Al di là dell’importante sostegno dei featuring alla causa L1, la prima cosa che salta all’occhio del CD è il totale accantonamento del dialetto napoletano nei testi dell’album in favore dell’italiano, come se Luchè voglia arrivare stavolta a giocarsela con tutti rompendo quelle barriere linguistiche che hanno talvolta escluso al rapper napoletano una pari considerazione nella scena.

Oltre questo, Luchè ha voluto finalmente esternare altri aspetti della sua personalità, spesso in qualche modo bloccati dall’attitudine molto street dei Co’Sang. Questo è ben visbile nei testi dei brani più personali e sentimentali dell’album come Appena il mondo sarà mio o in Lo so che non mi ami; ma anche in altri cambiamenti, anche sonori, per esempio la base che strizza l’occhio al rock di Rockstar o come On fire con un beat quasi elettro molto ritmato. Detto tutto ciò, purtroppo il valore di Luchè in L1 non emerse al massimo, poiché il cambio rotta del rapper con un album prodotto in fretta e furia, in appena quattro mesi, presenta alcune lacune soprattutto per quanto riguarda aspetti melodici che nel complesso non appagarono del tutto i suoi ascoltatori.

L2 – L’evoluzione di un talento lirico:

Napoli è una città unica: tutt’ora esistono una lingua, uno stile teatrale e un genere musicale caratteristici dell’ambiente partenopeo: proprio per questo il pubblico campano reagì in maniera indisposta al cambio di lingua nei testi di L1. Luchè era ormai visto quasi come un traditore della cultura napoletana e di quello che era il rap a Napoli in quello momento e l’artista stesso affronta ironicamente la questione nella skit di L2, dove un ipotetico ascoltatore, in napoletano, lo attacca per lo scoglimento dei Co’Sang, il trasferimento da Napoli e l’accantonamento del dialetto nei suoi testi; mentre lui vorrebbe solamente pace e tempo per fare la sua arte.

Da grande artista, infatti, Luche con L2 fece davvero una grande opera: in questo album c’è tutto l’artista, fra pezzi introspettivi come Tutto può succedere, tracce che esprimono voglia di rivalsa che esprimono la voglia di pietà dalle disgrazie vitali e quotidiane come Sporco Napoletano e anche riuscite canzoni street come Ghetto Memories con il feat di Achille Lauro. Da L2 iniziamo a vedere la maturazione di Luchè nella scrittura, sempre pungente e diretta, ma adesso anche più riflessiva e perfezionista, soprattutto esponendo sempre di più, con la sua musica, l’uomo dietro il suo personaggio.

Malammore – Un progetto musicale, ma anche un’opera d’arte eccezionale:

L2 diede a Luchè la giusta spinta e pian piano anche la giusta riconoscenza nell’ambiente con un ottima prova di come fare e saper fare rap. Ma, da rapper napoletano, ormai doveva tornare a Napoli, per riconquistare la sua città e per curare quella frattura creatasi fra sè e il suo primo pubblico.

Così, con i singoli antecendenti a Malammore, Luchè stravolse tutti pubblicando, già nel settembre del 2014 E’ cumpagn mie e successivamente il 2 febbraio 2015 su YouTube Nisciun: i beat ritmati spingono ogni verso di Luchè in un due classiche prove rap trattando autocelebrazione e rivalsa; tutto nella sua lingua natia e così dimostrando di non avere perso lo smalto, nel rappare in dialetto. Basandosi già solamente sulle views dei vari canali di streaming ci si poteva accorgere di come, dopo L2, questi due inediti stessero pian piano creando hype per il terzo album da solista di Luchè. Forte dell’aspettativa che si stava creando attorno all’album, con Malammore Luchè fu capace di ritrovare quel meritato successo che il tanto lavoro aveva prodotto: grazie anche all’inserimento della canzone O’ Primo Ammore fra i brani della soundtrack della serie Gomorra, l’8 giugno 2016 fu pubblicato l’ultimo singolo prima dell’uscita dell’album.

Nel testo della canzone, Luche torna nel suo vissuto passato e racconta del fascino che ha provato e subito per la vita di strada (nel testo appunto paragonato ad una donna), come tanti altri ragazzi cresciuti in contesti simili alla gioventù del rapper di Marianella.

Il reale valore di Luca Imprudente come artista (e non come un altro semplice rapper) fu evidente a tutti con un’altra canzone, che a tutti gli effetti può considerarsi un pezzo pop d’amore, molto lontano dall’immaginario che l’artista si era creato fino a quel momento: Che Dio mi benedica, un esperimento perfettamente riuscito da parte del rapper che dimostra di saper emozionare anche con altri tipi di musica e, quindi, anche di evolversi artisticamente, arrivando, con un singolo di questo tipo, a un altro tipo di pubblico (successo comprovato anche dalla certificazione del disco d’oro FIMI).

Il videoclip del brano uscì su Youtube il 15 luglio 2016, lo stesso giorno della pubblicazione ufficiale di Malammore; come se fosse anche un segnale di avvertimento trasmesso al pubblico. Quelle sonorità e quei temi mostrati nei due dischi precedenti sono stati sottoposti ad una lunga maturazione della creatività dell’artista che, proprio in questo album, ha trovato il giusto modo e la giusta esperienza per poterli trasmettere al meglio: in pezzi struggenti come Il mio ricordo o Quando non ero nessuno.

Qualsiasi ascoltatore, seppur proveniente da un percorso diverso di propria vita rispetto al rapper, non può non essere rapito dai versi di Luchè, vivendo con l’artista i suoi flashback presenti nelle canzoni; così da provare una forma di sintonia con l’artista napoletano.

Prima di Potere – La lunga assenza di Luchè:

Fra Malammore e l’album successivo, Potere, vero capolavoro della carriera del napoltano, l’artista iniziò a guadagnare consensi in maniera esponenziale, elevandosi in poco tempo come uno dei rapper meglio considerati della scena nazionale. Il lungo periodo di tempo prima della certificazione di disco d’oro fu testimone della lenta e costante diffusione della musica di Luchè nelle cuffiette degli ascoltatori italiani e, pian piano, come altri rapper in questi anni, anche nelle radio e TV del nostro Paese.

Malammore, oltre ad essere stato molto apprezzato da critica e addetti ai lavori, è stato fondamentale per la posizione odierna nel rap game di Luche. Il 2017 è stato segnato da un lungo e prospero tour per il rapper campano oltre che per le diverse collaborazioni di spessore con altri colleghi. Moltissimi i feat degni di nota come Te lo dicevo nel disco di Ensi V in cui la penna di Luchè confeziona memorabili punchlines come

Ho ritornelli da radio, ma non ho casa a Milano

Frà, fotti le radio, lei mi dice “Fotti-mi-l’ano”

o come Oro Giallo, in Gentleman di Gue Pequeno, dove quest’ultimo riprende i versi di Se la scelta fosse mia di Marracash e dei Co’Sang. Così il biennio successivo al terzo album fu, in pratica, un periodo gratificantissimo di raccolta dei frutti nati dagli sforzi musicali di Luche, ma anche propedecutico alla genesi del tanto atteso quarto album, Potere.

Potere – Il capolavoro del re di Napoli:

Malammore è riuscito meritatamente a guadagnarsi la certificazione di disco d’oro nel luglio del 2018, a ben due anni dalla sua pubblicazione. Tuttavia, nonostante il successo precedente, Luche ha necessitato di un’ulteriore riconferma nel rap game, esplicitamente richiesta nel titolo del CD, Potere che, seppur apparentemente pretenzioso, esprime proprio il bisogno di imposizione nei giochi che sentiva a quel punto della sua carriera.

Di nuovo il concept dell’album è amplissimo e radicalmente diverso da Malammore; Luca dopo tre album da solista, tanti anni in passati in un duo, una fanbase sempre più in espansione e uno spendido successo alle spalle segna un nuovo punto della sua carriera trasmettendo la sua maturazione sia come uomo sia come artista. L’album è pieno di episodi in cui l’artista si apre con il pubblico, raccontando il passato, la rivalsa, la guerra, l’amore, le donne; tutti quanti argomenti e temi in cui l’ascoltatore si può ritrovare e dove percepisce sulla sua pelle l’emozione che Luche stesso ha provato e messo su carta.

L’artista all’età di 37 anni è maturo quanto basta per trattare quelle tematiche che ne hanno distinto la discografia, stavolta con molta più esperienza e tecnica; così lo si sente perfetto in pezzi d’amore e momenti sentimentali (come Torna da me, Non abbiamo età e Dormiamo insieme) e in racconti di dolore e di rivalsa (come Lo sai chi sono con CoCo e Star). Ma per citare il rapper stesso, “Il suono nasce gangsta e muore gangsta” e infatti altre tracce sono prettamente street, per esempio Potere/Il Sorpasso o Facile.

Luche è maturato soprattutto nei ritornelli e lo si vede in Nada e in Je ce credevo, unico pezzo in dialetto napoletano, uscito come singolo d’anticipazione e in breve tempo certificato disco d’oro FIMI. Luchè, con Potere, ha espresso al massimo tutte le sue capacità, di flow e scrittura, che ha sempre posseduto, oltre a un’attitudine hip hop che ha giovato della crescita continua dell’artista. I 37 anni di Luca sono tutti quanti in quei temi e in quegli approcci agli argomenti proposti nell’album, dimostrando tutti quegli sforzi che gli hanno permesso di vantare due certificazioni di disco d’oro FIMI per gli ultimi due progetti. Così la lunga maturazione di Luchè nella sua travagliata carriera è stata proprio la chiave di volta che ha reso, attualmente, quel ragazzo di Marianella una delle migliori penne d’Italia.

IL 2019? Il suo ottimo periodo di forma (non ci si scordi di citarlo fra i migliori featuring dell’anno passato, con il flow pazzesco di Casa Mia con Capo Plaza e Noyz Narcos, nell’ultimo album dell’artista romano) ci fa solo ben sperare per altre opere del talentuosissimo parteonopeo.

Luca è andato via per riprendersi la città, e ora ce l’ha fatta. Lunga vita al Re, lunga vita a Luchè!

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